31 luglio 2013

GAFFE E FIGURE DI MELMA NELLA STORIA DELLA MUSICA



I miei primi anni universitari sono volati via in fretta, tra amici e cazzeggio a oltranza. Donne? Passaparola.
Uscivo spesso con Flavio, divertente come pochi e dall'indubbio ascendente sul gentil sesso. Purtroppo però, il gentil sesso ben disposto e piacevole alla vista scarseggiava e anche lui dovette fare di necessità virtù: l'unica storia - più di passione in verità - la ebbe con una tipetta frizzante ma bruttina. Piena di piercing e tatuaggi e dal sorriso solare, aveva un didietro con su la targa: "Attenzione, carichi pesanti".
Io mi ero invaghito di una moretta poco più grande: capelli neri lunghi, taglio degli occhi alla orientale, voce gentile e priva di sfumature ineleganti tipiche di certe zone del sud. Si spostava i capelli col viso senza malizia, scoprendo la base del collo sotto l'orecchio, quella che ogni uomo sogna di baciare alla donna che desidera.
Era fidanzata da anni con uno dei più carismatici della facoltà e sembrava felice. Io rimanevo al mio posto, era nel cassetto dei sogni erotici irrealizzabili, come Lamù o Sabrina di "E' quasi magia Johnny".
"Lasciala stare, non è cosa per te!" diceva giustamente Flavio ma non mi facevo illusioni: la coltivavo nel giardino dei miei fiori mai sbocciati, invece che stare con una qualsiasi tanto per sfogare l'ormone.
Un giorno stavo parlando con Luciano, un caro amico, quando si avvicinò lei, erano compagni di corso.
"Ciao, Valentina, piacere. Mamma mia quanto sei alto, mi fai scomparire."
Sorrisi. Prendemmo tutti e tre il caffè: lo odio il caffè ma dissimulai in stile Actors Studio.
Da quel giorno capitava ci fermassimo a fare quattro chiacchiere. Continuavo a non avere speranze ma mi bastava esserle amico: un suo sguardo illuminava una giornata.
Quel venerdì mi trattenni al computer sino alla chiusura del centro informatico della facoltà. Non c'era quasi più nessuno ma volevo ricopiare degli appunti e cercai un'aula vuota, in disparte, per non avere rompipalle tra i piedi. Aprii e sorpresi due che limonavano a livelli olimpionici: lui le palpava il culo e lei aveva la mano sul suo pacco. Chiesi scusa ma, mentre uscivo, voltai lo sguardo e anche lei si girò. Era Valentina, e quello non era il suo fidanzato. Ci rimasi di merda.
Fu un attimo lunghissimo. Lei provò a spostarsi i capelli come faceva sempre ma quel gesto aveva perso tutti i suoi carati.

             QUANDO L'ARTISTA AVREBBE FATTO MEGLIO A STARE ZITTO

29 luglio 2013

IL SESSO NEL PAESE DEL ROCK



Ho sempre invidiato i ragazzi nati nelle grandi città. Le dinamiche e gli orizzonti sono differenti. Nei piccoli paesi, quando esci, sai già chi incontrerai. Ci sono i pensionati che giocano a carte davanti al bar, bestemmiando su calcio e politica: non si spostano mai, hanno il loro posticino - sedia o panchina che sia - e capisci solo dal movimento della bocca - e dagli sputi catarrosi - che il cuore batte ancora.
Imbalsamate sembrano anche quelle coppie fidanzate da millemila anni. Stanno insieme per inerzia, diventando pian piano due fratelli. Nonostante i dubbi non si lasciano per paura di rimanere soli, nel paese è una delle paure peggiori. Poi si sposano e dopo un anno scoppiano. Un film più visto di Pretty Woman.
E che dire delle veline de noaltri, quelle troppo belle per i morti di faiga del borgo. Aspirano ad altro, sempre mantenendosi dietro ad una facciata di irreprensibilità. Le vedi poi sul Mercedes del forestiero brizzolato che, già sposato, testa i sedili in pelle a dovere e poi tanti saluti. Alla fine anche loro si ritrovano a raccattare un amore di ripiego, una volta capito che, in un posto di 10mila anime, starlette o donna comune è uguale e lo snobismo è meglio se lo usi per lavarci i pavimenti.

                              IPSE DIXIT - BUGIE, INGORDI E SFIGATI

26 luglio 2013

FOO FIGHTERS, ROCK E SREGOLATEZZA



Nella noia potentina, il Giovedì universitario era una boccata d'aria fresca, una serata discotecara di tamarraggine varia ed assortita.
Non che la location fosse il Cocoricò - era un ex pub angusto e dal soffitto basso - ma bastava ed avanzava per divertirsi e conoscere nuova gente.
Gli occhi erano tutti per le poche strafighe, le starlettine di provincia. Del resto in facoltà non esisteva via di mezzo: c'erano quelle che a lezione arrivavano col tacco 12 e con la scollatura vista mare - poche, pochissime - e c'erano quelle con maglietta dall'ascella pezzata, molletta in testa e peluria dirompente. Del resto, la migliore gioventù potentina era quasi tutta a studiare altrove.
In quelle serate ricordo una riccia dai seni debordanti ma dalle labbra alla Nina Moric, sembravano due canotti gonfiati male. Si, certo, fu proprio per quello che non successe nulla tra me e lei, come no. La volpe e l'uva.
C'era poi una stangona alta quasi quanto me, magra, dal viso delicato. Era molto bella ma quando parlava sembrava uno scaricatore di porto. Immaginatevi una Monica Bellucci che parla come Sgarbi incazzato. Si, ne parlo male perchè anche lei non me l'ha mai data. L'attenzione, che avete capito?
L'unica che ci provò fu una compaesana con chili di troppo distribuiti malamente. Pensò bene di approcciarmi in un luogo romantico - il cesso della discoteca - fumandomi in faccia, con charme. Tossendo, scappai alla chetichella, ignorandola anche in facoltà.
Mi sparlò di brutto una volta tornata in paese. La volpe, cicciona e romantica, e l'uva.

                                                 I VIDEO CHE HANNO FATTO LA STORIA

24 luglio 2013

UNA LUNA ROSA CHE ILLUMINA ANCORA




Mi manca molto la masseria di mio nonno. Quando l'ha venduta è come se fosse morto un parente, uno di quelli stretti che ti hanno visto crescere e che, ogni volta che ti incontravano, ti offrivano una caramella Rossana o un Cremino rigorosamente sottomarca.
I giorni passati lì erano privi di errori, erano da prendere e tatuare sulla cute della memoria. Erano vivi, puri, si viveva dei sorrisi dei nonni e della loro saggezza, di momenti al di fuori del bene e del male, di animali intorno e di odori che non sento più, e Dio solo sa quanto rivorrei qui, ora, sempre.
Ho vivida dinanzi a me l'immagine degli oggetti di quel luogo: la sdraio con le stringhe di plastica gialla che, sudando, ti si attaccavano alla pelle; la tavolata di legno e le sedie foderate di pelle bordeaux; il camino che d'inverno regalava grigliate e bruschette di un livello fantasticherrimo; e poi la vecchia macchina da cucire di nonna, le sue piante di plastica e il quadro con un cavallo bianco e uno nero che si intrecciavano in un simbolico abbraccio.
Era l'estate del '96, cenavamo costringendo i nonni a vedere Friends in tv e poi le Olimpiadi di Atlanta; spesso però mollavamo la televisione appena finito e ci rifugiavamo in terrazza.
Spegnevamo le luci per evitare che si avvicinassero orde di zanzare - bastava la luce eterea della Luna - ed eravamo in un'altra dimensione. Quel cielo era il disegno di un bimbo, che prende il giallo Carioca e riempie di puntini una massa nera infinita. Le stelle erano lì, scendevano e ti portavano altrove.

                                DA BLACK HOLE SUN A PINK MOON

22 luglio 2013

COSE DELL'ALTRO MONDO




Non sono mai stato un fan sfegatato del genere fantascientifico. Fra i telefilm in rotazione negli anni '80, di sicuro le saghe di Star Trek o dei Visitors non mi entusiasmavano più di tanto.
Preferivo quella piccola peste di Arnold, la robotica SuperVicky oppure Genitori in Blue Jeans. Erano storie più vicine alla mia realtà di bambino e riempivano di sorrisi e buonumore i risvegli mattutini d'estate e i pomeriggi d'inverno dopo i cartoni animati. In più i protagonisti erano davvero miei coetanei e vivevano piccole semplici avventure giornaliere in cui mi potevo identificare.
Del mondo fantascientifico, però, c'è una cosa che mi ha sempre affascinato ovvero la capacità di far viaggiare la mente, stimolare fantasia ed immaginazione, solleticare l'idea dell'esistenza di mondi lontani e realtà sconfinate. Come potrebbe essere la vita su Marte, su Venere o sulla Luna? Ce la farebbe il genere umano a sopravvivere anche lì? Nei miei deliri alcolici ogni tanto me lo chiedo. Così come a volte mi capita di pensare al giorno in cui l'uomo riuscirà (finalmente... chi lo sa...) a colonizzare questi mondi lontani, magari dopo battaglie intergalattiche vinte grazie ad uno Ziggy Stardust caduto sulla Terra.

        QUANDO LE STELLE GUARDANO ALLE STELLE di Angelo Lo Bianco

19 luglio 2013

UN IMMENSO CAMPO INSENSATO DI MUSICHE SENZA TEMPO




"Quello fu per noi il periodo della grande scelta: o rimanere negli U.S.A. e andare avanti in tournèe per un anno come minimo, e saremmo diventati tra i primi cinque gruppi più grossi al mondo, queste almeno erano le previsioni dei grandi manager che in America equivalgono a previsioni di computer, o tornare a casa. Se tu fai il musicista è il posto migliore per farlo, però ci sono dei problemi perchè tu puoi identificarti nella vita americana ma puoi anche non farlo e allora sono guai."
Franz Di Cioccio - Intervista a Riccardo Piferi (1981)

                                            LA FANTASTICA STORIA DELLA PFM - Pt. 2

17 luglio 2013

QUELLI CHE HANNO VINTO FERMANDOSI AD UN METRO DAL TRAGUARDO




"In America era piuttosto difficile venire fuori, la gente non si immaginava un gruppo di questo livello perchè eravamo italiani. Eravamo spesso presentati così: "Ladies and gentlemen, from Italy, top-band in Italy, please welcome PFM". Va bene, saranno bravissimi, pensava il pubblico, ma saranno i "top" a suonare i mandolini o cose del genere. Noi invece attaccavamo con delle musiche "tight" come dicono là, eravamo bravissimi, mi piace dirlo perchè avevamo lavorato molto: e la gente reagiva, restava un attimo sconvolta.
Da opening act, solitamente riuscivamo a rubare lo show all'artista che ci seguiva. Quando questo succede vuol dire che stai entrando nella sfera di quelli grossi, come lo sparring partner che diventa campione dopo aver allenato il big per tanto tempo."
Franz Di Cioccio - Intervista a Riccardo Piferi (Lato Side Editori, 1981) 

                           LA FANTASTICA STORIA DELLA PFM - Pt. 1


15 luglio 2013

SESSO E CANZONI: L'AUTOEROTISMO




"Io, a sedici anni, mi facevo le pippe, mi facevo le canne e andavo in giro in Vespa. Oh, io c'ho 53anni, e la mia vita cos'è? Vado in ufficio con la Vespa, mi faccio le canne e mi faccio le seghe davanti al computer... Questa è la mia vita!"
Diego Abatantuono - Happy Family (2010)

Non voglio fare l'ipocrita, spesso lo sono fin troppo nella vita di tutti i giorni. A volte vorresti dare un calcio nel culo a chi maltratta un cane per strada. Vorresti prendere a schiaffi sulle labbra quella che mentre guida, con una mano tiene il cellulare all'orecchio e con l'altra si sistema i capelli. Vorresti perfino persino dire a quello zingaro che fa l'elemosina con un cartello con su scritto "Ho 8 figli, aiutatemi" che a fare figli siamo tutti bravi.
Prima di divagare dicevo che non voglio essere ipocrita anche qui. Noi uomini siamo tutti - o quasi - come lo strepitoso Diego Abatantuono del film di Salvatores. Se sentite qualcuno sostenere il contrario, dategli un ceffone da parte mia.
I film porno piacciono al 90% di noi maschietti, siamo animali semplici, primitivi, che vivono di stimoli visivi. A volte basta una foto, a volte un bel fondoschiena per strada. Quando eravamo ragazzi bastavano ed avanzavano Postalmarket o Vestro, grandissimi amici d'infanzia.
Le gentildonne mi perdoneranno per l'argomento toccato ma dubito si scandalizzino quando cantano alcune delle canzoni più importanti della musica italiana, canzoni che spesso parlano di auto-erotismo.

               L'AMORE CON QUALCUNO CHE STIMI DAVVERO, IN MUSICA

12 luglio 2013

HO INCONTRATO MR. NOVEMBRE AI PRIMI DI LUGLIO



Credo di non aver mai timbrato il cartellino tanto velocemente quanto goffamente: avrei fatto la mia porca figura tra Fantozzi, Filini e la signorina Silvani. Appena uscito, via di corsa in macchina a fare benzina, direzione Milano: Ippodromo del Galoppo di San Siro, stasera suonano i The National.
Nonostante i Santi volati al cielo durante la ricerca del parcheggio nella City, siamo arrivati giusto in tempo per ascoltare Johnny "Fucking" Marr che, dopo aver reso grandi gli Smiths e dopo varie collaborazioni (Modest Mouse su tutte), sta portando in giro "The Messenger", il suo nuovo lavoro da solista.
Concedetemi una digressione...
Lasciando da parte l'improbabile tinta dei capelli, il chitarrista inglese - ormai arcinemico di Morrisey - ha mescolato i nuovi pezzi (su tutte, spicca "New Times Velocity") con quelli storici degli Smiths, in un'ora scarsa di concerto. "There is a light that never goes out" è da brividi, così come la chiusura con "How soon is now": a sentirle live ti fanno un pelo rimpiangere di essere troppo giovane.
La corsa in macchina (entro i limiti di velocità Marescià, sia ben chiaro!) per arrivare puntuale è stata del tutto ripagata. Peccato però aver perso Colapesce, che era in programma all'improbabile orario delle 18.45.
E' il momento della band newyorkese (o di Cincinnati?). Puntuali come da programma (a Milano i live iniziano puntuali, non come a Torino...), pochi minuti dopo le 21.30, Matt Berninger e le coppie di gemelli Dessner e Devendorf, accompagnati da due fiati, si presentano sul palco.

                   THE NATIONAL - MILANO 01.07.2013 di Vito Possidente

8 luglio 2013

ANDREA MIRO', ELEGANZA E CLASSE IN MUSICA




Un sabato di pochi anni fa, fiordi norvegesi. C'ero capitato per lavoro, sarebbero dovuti essere due mesi e finii per passarcene sei. Ero da solo ma volarono. La gente lì è molto tranquilla, vive di cose semplici, fregandosene di dannarsi sul lavoro: zero stress e tanti sorrisi.
Avevo una meravigliosa casa di legno nel bosco; gli infissi erano napoleonici - nel senso che era ancora vivo lui quando li avevano montati - ma una stufa a legna riempiva quel posto di un calore tutto suo, avvolgente.
La stagione fredda volgeva al termine e la tanta neve caduta durante l'inverno cominciava a scoprire angoli di verde e di rinascita. Quella mattina ero piuttosto rintronato quando scesi in cucina per fare colazione.
Qualcosa colpì il mio sguardo fuori dalla finestra. Strabuzzai gli occhi e si, c'erano tre cerbiatti che brucavano l'erba. A pochi metri dalla mia finestra. Una di quelle scene per cui ringrazi di essere lì in quel momento, e che ti regalano un soffio di pace e serenità.
La stessa pace e serenità che emana Andrea Mirò quando parla e sorride. Ha un'eleganza delicata, fuori dal tempo, e una gentilezza d'animo che ti fa pensare non alla gente norvegese, non al calore di quella casa o ai cerbiatti che brucano: fa pensare subito a quegli angolini di verde che spuntano dalla neve, quelli che ti riempiono gli occhi col profumo della nuova primavera.

                                                                        L'INTERVISTA

5 luglio 2013

A POCHI METRI DAL ROCK: IL CONCERTO



Era l'estate del 2001, mi pare fosse Luglio col bene che ti voglio, vacanze di famiglia in Sardegna. Ricordo tanto caldo, mare limpido e alcuni amici di piazzetta. Mentre io e mio fratello cazzeggiavamo su MTV, partì una intro al pianoforte, seguito da un potente riff chitarroso, uno di quelli che ti bucano il cervello e non se ne vanno per tutta la giornata, lasciandoti il tossico desiderio di ascoltarlo e riascoltarlo.
Il riff era quello di "New Born" e da lì, la passione per i Muse mi rimase addosso, indelebile. Una volta tornati a casa per la ripresa della scuola, dopo pochi giorni comprammo il cd originale (Napster what?), con la consapevolezza di avere tra le mani il disco di un gruppo che avrebbe lasciato un segno.
Quell'estate scoprimmo anche i Train... Così, giusto perchè mi piacciono le facezie inutili.

Ogni volta che vado ad un concerto, commetto sempre due errori.
Il primo? Acquisto il biglietto con mesi di anticipo, facendo un sacro voto: "Ho mille mesi davanti a me, quindi sto giro imparerò tutte le canzoni a memoria per urlarle durante il live!".
Ehi, non è certo un impegno banale, anche perchè, di un gruppo musicale, generalmente ascolto prima la musica e poi, eventualmente, molto eventualmente, i testi. Sarà che il mio cervello vira per i testicoli suoi, o sarà il fatto che quando ascolto musica generalmente faccio/leggo/penso altro. Può anche essere banalissima pigrizia eh, ve lo concedo. Comunque sia, anche questa volta sono arrivato impreparato al concerto, sperando che non tutti siano preparati come ai concerti dei Blind Guardian (tanto amore per loro...vedi facezie inutili).
Il secondo errore? Non vi sfugge nulla, miei novelli Montalbano, ma ve lo dico dopo...

             MUSE - TORINO 28.06.2013 di Antonio Gabriele Bonagura

3 luglio 2013

LE LEGGENDE METROPOLITANE DELLA MUSICA




Quando ero piccolo, l'America era veramente lontana. Se abitavi in un piccolo paese, la tua vita era tutta lì: il bar e la sala giochi col flipper e il biliardo, la cassiera del supermercato dai seni che ti fanno elevare un Alleluia al cielo e le partite a pallone per strada. E se il pallone finiva oltre il muro di recinzione di una qualsiasi casa, allora si che l'America era ancora più lontana e più che Alleluia al cielo partivano santi e Madonne.
Era un'epoca differente, di polaroid e di macchinette fotografiche moderne come Ratzinger. Era più facile fare delle cazzate e sperare di farla franca. Era più semplice fare cornuto il marito o la fidanzata, anche se le comari di paese - c'è da dirlo - spesso sono peggio di Tgcom e Dagospia.
La tv aveva pochi dannatissimi pulsanti da schiacciare e internet non era neppure stata inventata. Ora si che l'America è vicina, ora puoi parlare con l'altra parte dell'Oceano o vedere New York in webcam, delizia per stolti...
Gli anni '80 avevano ancora quel retrogusto di avventura, di cose da cercare e di tesori alla Goonies da scovare. Quegli anni avevano delle tonalità più calde ma anche più oscure per altri versi. C'era ancora il senso del mistero.
C'era l'Amazzonia ancora da esplorare e il mito del mostro di Loch Ness, c'erano abissi in cui scendere per ripescare navi, ori e gioielli. E poi i coccodrilli nelle fogne di New York (e forse ci sono ancora...) e teschi di diamante spuntati chissà dove, c'erano i misteri dei templari e Yeti/Piedoni da inseguire...
Leggevo l'almanacco del Mistero - un albo a fumetti Bonelli di Martin Mystere ricco di mirabolanti facezie - e sognavo di diventare come Indiana Jones, io che abitavo a Monteiasi, dove l'unica cosa da scoprire era chi si fotteva l'uva dalla vigna di mio nonno.
L'aura era diversa. Ora no, c'è sempre un telefonino a riprendere il meteorite che cade, o una digitale puntata sul mostro marino arenato. Allora c'era ancora il senso del mistero, oggi c'è solo una più realistica tristezza che ha fatto appassire la voglia di sognare. Prima gli occhi di bimbo resistevano anche sui visi degli adulti, ora si è vecchi a trent'anni.

                                 LA GRANDE BEFFA DI JIM MORRISON

1 luglio 2013

SESSO E CANZONI





La spiaggia era sonnolenta, quella mattina di inizio luglio di tanti anni fa. Dormiva anche il mare, increspandosi nel suo lento russare. Io mi annoiavo, perso tra le solite facce e i pochi amici che c'erano. Tutto scorreva banalmente: bagno, partita a racchettoni, passeggiata cercando qualche faccia amica, ghiacciolo e capatina nella scarna sala giochi dello stabilimento.
Mancava qualcosa... E' inutile che la tiro per le lunghe, mancavano le ragazze. L'età media rasentava la sessantina, ero circondato da piacevolezze estetiche alla Rosi Bindi.
C'erano delle procaci quarantenni che stuzzicavano i miei ormoni adolescenziali, ribollenti come un vulcano hawaiano, ma di coetanee poche e niente.
Quella mattina ero steso al sole quando vidi arrivare un gruppetto piuttosto frizzante. C'erano tre ragazzine vispe e allegre che fecero appena in tempo a spogliarsi che erano subito in acqua. Belle, bellissime, avevo l'espressione di Homer Simpson quando pensa alle ciambelle...
Non era passato nemmeno un minuto che, sotto il mio ombrellone, arrivò Marco, uno di quei pochi amici. Mi ridestò dal mio homerico rimbambimento, aveva il luccichio negli occhi di Rocco Siffredi ad un addio al nubilato con venti donne.
Mi tirò in acqua e in pochi minuti facemmo amicizia, tutto molto easy, senza menate, senza paranoie.
Si chiamavano Elisa, Maria e Erika ed erano davvero una più bella dell'altra. Giocammo per ore, facendo la lotta, soffocandoci sott'acqua, facendo le capriole. A me piaceva Elisa e io piacevo a lei. Andammo a mangiare un Lemonissimo, parlavamo e scherzavamo, piccoli momenti che da adolescente fanno tutta la differenza del mondo, anzi, fanno tutto il mondo.
Era maliziosa, giocava coi doppi sensi, mi provocava. Si avvicinò e mi sussurrò che aveva voglia, mi dava un bacio e scappava via. Alla fine ci baciammo, sul serio, e poi facemmo l'amore dentro ad una cabina. Aveva un seno piccolo e sodo e mi mordicchiava il collo, eccitandomi ancora di più. Pochi minuti ed ero in estasi. Fu bellissimo.

                    QUANDO MUSICA ED EROTISMO S'INTRECCIANO