Un sabato di pochi anni fa, fiordi norvegesi. C'ero capitato per lavoro, sarebbero dovuti essere due mesi e finii per passarcene sei. Ero da solo ma volarono. La gente lì è molto tranquilla, vive di cose semplici, fregandosene di dannarsi sul lavoro: zero stress e tanti sorrisi.
Avevo una meravigliosa casa di legno nel bosco; gli infissi erano napoleonici - nel senso che era ancora vivo lui quando li avevano montati - ma una stufa a legna riempiva quel posto di un calore tutto suo, avvolgente.
La stagione fredda volgeva al termine e la tanta neve caduta durante l'inverno cominciava a scoprire angoli di verde e di rinascita. Quella mattina ero piuttosto rintronato quando scesi in cucina per fare colazione.
Qualcosa colpì il mio sguardo fuori dalla finestra. Strabuzzai gli occhi e si, c'erano tre cerbiatti che brucavano l'erba. A pochi metri dalla mia finestra. Una di quelle scene per cui ringrazi di essere lì in quel momento, e che ti regalano un soffio di pace e serenità.
La stessa pace e serenità che emana Andrea Mirò quando parla e sorride. Ha un'eleganza delicata, fuori dal tempo, e una gentilezza d'animo che ti fa pensare non alla gente norvegese, non al calore di quella casa o ai cerbiatti che brucano: fa pensare subito a quegli angolini di verde che spuntano dalla neve, quelli che ti riempiono gli occhi col profumo della nuova primavera.
L'INTERVISTA
Benvenuta Andrea. Con che musica sei cresciuta? Cosa ascoltavano i tuoi genitori?
Sono cresciuta con tutti i tipi di musica, mio padre ama il jazz e mia madre conosce benissimo gran parte delle produzioni di musica lirica. Avevamo sempre la radio accesa ed uno degli oggetti più amati in casa era il giradischi. Eravamo acquirenti regolari di musica e, a casa, trovavo sparsi anche spartiti di vario genere.
Ovviamente l'interesse scaturito dallo studio della classica mi ha dato nuovi imput per la scoperta di autori storici e contemporanei e, come succede anche per i libri, ogni nuovo ascolto rimandava ad un altro e ad un altro ancora...
Le prime esperienze col coro della Chiesa, la vittoria a Castrocaro quando ancora andavi a scuola, il primo timidissimo Sanremo. Che ricordi hai dei tuoi inizi?
Il parroco del paese suonava bene le tastiere e l'hammond, le mie prime esperienze col microfono e gli strumenti le ho consumate in oratorio, mentre l'opportunità di di partecipare a Castrocaro arrivò inaspettata, attraverso un amico che aveva uno studio nuovo di pacca a 10 metri da casa mia (e dove più avanti registro più di un disco Paolo Conte).
Io, che non sapevo nemmeno cosa fosse Castrocaro, mi sono trovata a passare tutte le selezioni per divertimento, un'avventura che mi ha portato a vincere il contest e mi ha catapultato, con un contratto discografico da sogno, sul palco dell'Ariston.
L'anno successivo di nuovo sul palco del Festival con "Non è segreto". Dopo quest'esperienza, però, decidi tu, incredibile a dirsi, di rescindere il contratto con la casa discografica. Come mai maturasti quella scelta così coraggiosa? Ripensandoci oggi, lo rifaresti?
Dopo Sanremo ed una canzone firmata dai fratelli Mango, e assemblato un disco con canzoni in cui io non mi sentivo protagonista per contenuti e musica, si, ho reciso il contratto con la major. Avevo indubbiamente bisogno di macinare del mio per scrivere ciò che mi soddisfacesse, ed intendo esperienza di vita prima ancora che musicale.
Non credo che rifarei questa scelta, fosse oggi, però credo anche che non sceglierei una major ma l'autoproduzione in un ambito indie che poi è - ed era, col senno di poi - ciò che mi appartiene.
A metà anni '90, la tua versatilità come musicista ti ha portato a collaborare con grandi nomi della musica italiana. Parliamo di Ron, di Mango, di Finardi e di Vecchioni. Aneddoti di quel periodo? Ricordi? Curiosità?
Il percorso fu lavorare come spalla di nomi più grossi, fare il gregario sul campo insegna moltissimo, specie se gli artisti sono tra i più importanti cantautori italiani. Ogni tour o disco con loro è stato un tassello fondamentale per costruire la mia identità artistica, per capire ciò che mi sarebbe piaciuto fare.
Il primo a spronarmi fu proprio Ron, che mi disse: "Brava, sono contento che tu abbia intenzione di scrivere canzoni tue, hai talento e si vede, e, d'altronde, se non lo fai tu chi dovrebbe farlo?"
Certo, rientrare nel "giro" fu tutt'altro che facile, lì fu fondamentale il supporto morale e concreto di Ruggeri e del suo team.
Leggenda vuole che la tua strada e quella di Ruggeri si incrociassero grazie al rifiuto di Paola e Chiara di accompagnare Enrico in tour (volevano provare la carriera solista). Ricordi il primo incontro tra te e Rouge?
Ricordo molto bene il nostro primo incontro, dopo una selezione di chitarriste/vocalist, tra cui anche Paola e Chiara da te citate che, però, avevano già in ballo il loro progetto discografico e rifiutarono. Fu in sala prove al Jungle Sound di Milano. Mi sembrò subito molto più simpatico dell'artista che avevo sempre visto in tv, con un'autoironia da vendere, qualità rarissima nell'ambiente musicale.
Il ritorno come solista è nel 1999 con "La libertà": look e arrangiamenti più grintosi. Ammetto di aver scoperto il video di questa canzone solo da poco: un film in miniatura di ottima fattura...
Un bel documento quello, ci siamo divertiti molto a realizzarlo. E ora che ci penso, credo fosse il mio primo video.
Nel 2000, nuova partecipazione al Festival dei fiori con "La canzone del perdono", che apprezzai molto. Al termine della prima serata, quando dissero che eri in testa alla classifica, esultai come ad un gol dell'Italia. In quell'occasione fosti tu a scegliere il pezzo da portare? Eri indecisa con altre canzoni dell'album?
In quell'anno ritorno alla discografia con un disco di canzoni come cantautrice, con cui partecipo nei Giovani a Sanremo. "La canzone del perdono" era il pezzo che volevo portare perchè aveva una scrittura che mi rappresentava bene ed aveva una sua forza. Per passaggi televisivi ed impatto avrei meritato una vittoria, o di approdare per lo meno ai primi 3 posti, ma mi sono dovuta accontentare di un 4°.
Da "Opinioni di un clown", citazione del grande libro di Heinrich Boll del 1963, a "Nairobi-Milano", da "L'uomo di Metallo" a "Vite parallele": grandi testi ed immagini splendidamente delineate. Le tue canzoni hanno spesso connotazioni letterarie e cinematografiche innate. Leggi molto? Che rapporto hai con il cinema?
Nei primi dischi un artista cerca sempre di infilare il più possibile tutto ciò che lo colpisce e tutti i rimandi letterari degli scrittori che ha amato. Poi impara a diluire le tematiche e ad andare più a fondo nello specifico, man mano che prosegue il suo percorso, usando immagini carpite più dalla quotidianità che è la materia prima di tutta la letteratura, della cinematografia, della pittura e cosi via.
Certo è che tutta la produzione artistica in generale che vedo e ascolto in giro è ciò di cui vivrei, mangiando anche solo pane e acqua! Dipinti, film e libri in primis! Una delle cose con cui mi piacerebbe confrontarmi è sicuramente una colonna sonora, se proprio te la devo dire tutta!
A chi ti ispiri musicalmente? E quando sei libera da impegni, cosa ti piace ascoltare?
Musicalmente, come dicevo, sono onnivora. Credo di appartenere, come molti oggi, alla categoria di artisti che immagazzina materiale in maniera compulsiva, quasi meccanica, per poi shakerare e risputare fuori qualcosa che non ha più un riferimento preciso ma tende ad un suo stile, il più possibile "originale". Anche se oggi la parola "originalità" è veramente molto difficile da pronunciare. Tutto è stato già scritto, possiamo solo reinterpretarlo con la nostra sensibilità, aggiungendo sfumature ed ombre, niente di più ahimè.
I miei ascolti vagano dal metallo pesante a Monteverdi, per fare un esempio.
Nel 2003, di nuovo Sanremo con "Nessuno tocchi Caino", per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della pena di morte, materia di sempiterna attualità purtroppo. Come ti avvicinasti a quel tema? Da cosa partì la scintilla?
"Nessuno tocchi Caino" fu un pezzo che scrissi con Ruggeri poco dopo aver scritto a 4 mani e diretto "Primavera a Sarajevo". Eravamo partiti da una musica, poi Enrico si rese conto che il testo stava andando in quella direzione e chiese il benestare a Sergio D'Elia per l'utilizzo della Lega internazionale contro la Pena di morte come titolo.
Arrivò alle orecchie di Baudo che volle a tutti i costi portarla a Sanremo, nonostante il nostro scetticismo: un tema così importante e serio avrebbe potuto cozzare con la tipologia della kermesse. Invece fu un momento di altissimo pathos per tutti, con forte risonanza sia attraverso i media che tra il pubblico, e su quell'onda anche di una tournèe impegnativa e gratificante, avendo accettato noi l'impegno come testimonials di "Hands of Cain".
Ma la più grande emozione fu indubbiamente l'aver portato a Sanremo e conosciuto direttamente Leroy Orange, 19 anni nel braccio della morte in America da innocente. Indimenticabile.
2005, esce "Andrea", primo singolo se non erro "La la la", con cantato giostrato tra italiano e francese, lingua utilizzata anche in una cover di Edith Piaf (e nel ritornello della ruggeriana "La Chanson de Mimie"). Sbaglio a pensare che la tua sensibilità musicale si addica più al mercato francese? In Italia sei come una mosca bianca.
Con "Andrea" credo sia iniziata quella fase di maturità e di focalizzazione della mia poetica. "La la la" ne è l'esempio cardine, la reputo una delle mie canzoni più riuscite e forti, con un battage radiofonico pesantissimo di cui vado fiera: radiofonia e spessore artistico non sempre van d'accordo in questo periodo storico. E m'è capitato di rilevare forte stima oltre i confini italiani proprio con pezzi come questo, là dove eclettismo e musicalità complessa sono sinonimi di ricchezza artistica (e non limiti, come spesso si pensa qui in Italia).
E comunque essere una mosca bianca è nella mia natura, natura che assecondo volentieri anche se mi è sempre costato caro.
Se dovessi convincere una platea che non ti conosce, quali canzoni sceglieresti di cantare? Puoi sceglierne solo tre...
Tre soli pezzi per incantare la platea? Difficile! "La la la", "Faust" e "Prima che sia domani", poi spero in un bis!
Cosa hanno regalato i tuoi figli alla tua musica?
Personalmente mi hanno regalato la consapevolezza delle mie potenzialità e la serenità nell'accettare i miei limiti, e poi la scoperta che il tempo di una madre non si dimezza ma, per una strana magia, si moltiplica.
Dormo molto meno tempo ma non me ne preoccupo: sono troppo occupata a vivere mangiando a morsi il tempo a mia disposizione!
Una donna italiana che stimi ed una cantante italiana che apprezzi?
Stimo moltissimo Emma Bonino e credo che una delle migliori voci/cantautrici in Italia sia Cristina Donà. Le cantanti/interpreti mi attirano poco, in genere.
Collaborazioni particolari sono state quelle con Dargen D'amico e Andrea Nardinocchi. Come sono nate? Cosa hai rubato dal loro modo di fare musica? O magari hanno rubato loro a te...
Dargen è arrivato a master iniziato: la sera prima passa da Marco Zangirolami e ascolta il lavoro fatto con lui, rimane incantato da "Senza che nulla cambi" e chiede di fare 2 insert nel pezzo. Marco mi manda l'mp3 nel pomeriggio, tempo 3 ore e tutto era già nel disco. Sono rimasta basita ed affascinata da lui, da come ha intuito ed interpretato il pezzo nella sua essenza; si evince anche dal video che abbiamo realizzato insieme, emotivamente al top.
Nardinocchi è stato un incontro consequenziale a Dargen, visto che è una sua scoperta e col suo produttore mi hanno chiesto di lavorare alla sua partecipazione sanremese. Andrea è molto dotato vocalmente ed in più è una novità nel panorama elettropop italiano, per come scrive e per come performa dal vivo. Sono stata entusiasta di poterlo dirigere a Sanremo, ho subito accettato.
Nella tua ultima fatica - "Elettra e Calliope" - mischi pezzi inediti ed altri rivisitati e la tua parte emozionale con quella razionale. Com'è nato questo lavoro? Sei più razionale o più impulsiva?
"E' nato come tutti i miei altri dischi, solo che mi sono resa conto, poco dopo aver ultimato i pezzi in pre-produzion, di avere due tipi di materiale diverso: la parte di pancia, d'impatto live e rock, e la parte di testa, più introspettiva, oscura, intima, elettronica.
Non avendo regole di mercato a cui sottostare - anche perchè il mercato del disco è morto quindi quali regole? - ho solo deciso di pubblicare le due parti divise e connotate da un nome femminile e di farne due facce di una stessa medaglia, come un vecchio vinile.
Curiosità: qual è la cosa più pazzamente rock che hai fatto nella tua vita?
Bah, ne ricordo tante. Forse fare questo mestiere ed avere dei figli è di un rock più che accettabile!
Domanda di rito: cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Hai novità in cantiere?
Novità ce ne sono molte, ancora in fieri. Alcune sono molto particolari, sto seminando e raccogliendo nello stesso momento, e se mi distraggo un attimo ho paura di non farcela a tener testa a tutte! Diciamo che la scena elettronica mi attrae molto da sempre, forse ultimamente anche di più...
Nessun commento:
Posta un commento