27 settembre 2013

LE TRASFORMAZIONI DEI VECCHI COMPAGNI DI SCUOLA




Le estati adolescenziali correvano lungo serate più vuote di un programma di Marzullo con ospite il padre del primo fidanzatino di Belen. Il paese si svuotava - direzione mare - e tu, senza auto, rimanevi su Via Roma assieme agli amici, ai randagi che copulavano tra loro, alle zitelle inacidite e ai bambini che bestemmiavano peggio di Willie, lo scozzese dei Simpson.
Le mie sgraziate fattezze non aiutavano, ero talmente brutto che le uniche a guardarmi erano le donne dei manifesti funebri.
La sceneggiatura era la solita, chiacchierate sul calcio e sui porno di Telecapri, finendo poi a pizza e birra, con i più originali che si spingevano a dire "No, io da questo paese me ne vado!" ed altri che azzardavano magliette con "Fuck the system!", magliette stirate dalla stessa persona con cui vivono ancora, la loro madre.
Quella sera, quando mi avvicinai al bancone della pizzeria, riconobbi un viso conosciuto ed ebbi un soffio al cuore: Massimiliano, il mio compagno di banco delle scuole medie.
Abitava a Taranto, non ci vedevamo da tre anni e nel frattempo ero cresciuto di trentacinque centimetri (!) in altezza. Picchietto sulla sua spalla e lui si gira, mi squadra con una smorfia dubbiosa e poi sgrana gli occhi prorompendo in un "No, non ci credo!"
Non mi aveva proprio riconosciuto, complice lo smodato allungamento fisico. Fu un momento lucente e curioso.
Dopo due minuti mi chiede di seguirlo e mi porta alla sua Punto nera. Dentro c'è Vincenzo, un altro vecchio compagno di classe. E' identico a come lo ricordavo. Busso al vetro e lui con la mano a cucchiaio mi fa: "Cazzo vuoi?"
Io e Massimiliano scoppiamo a ridere. Nemmeno lui aveva capito chi fossi. Bei momenti, se ci ripenso mi scappa un sorriso carico di lacrime. Sono passati quasi quindici anni e non li ho più visti.

                                 COM'ERANO E COME SONO OGGI

Facebook è stata una mano santa per rimettersi in contatto con i vecchi compagni di banco, per riallacciare con la tipetta formosa che ti piaceva ma che la dava solo al bastardo dall'animo alla Kurt Cobain, o per far vedere agli altri che tu ce l'hai fatta, perchè, si sa, il più delle volte li cerchi solo per farli rosicare.
I vecchi volti che hai in mente, tuttavia, non sono sempre ciò che uno si aspetterebbe, come succede al povero Fabris di "Compagni di scuola", ormai imbruttito e senza capelli al punto da essere diventato irriconoscibile. Film splendido, uno dei migliori di Verdone.

Nel mondo della musica non è molto diverso. C'è chi si mantiene intatto nel tempo, quasi fosse cristallizzato nell'ambra, e chi invece subisce un decadimento radioattivo veloce come Husain Bolt.
Ci sono due scuole di pensiero a dir la verità: chi gioca sui cambi di look e chi tende a giocarsi la stessa immagine a oltranza. Penso infatti ai Little Tony e ai Bobby Solo che sul ciuffo ci hanno costruito una carriera ma lo stesso vale per un Tom Jones, che continua a tingersi i boccoli anche a 73 primavere.
Il Duca Bianco dei trasformisti è ovviamente David Bowie, capace di mutare pelle ad ogni grande rientro. Non si contano le sue mutazioni, al punto da aver ispirato negli anni decine di libri e fashion stylist: dai capelli arancione sparato al trucco spinto, dal pizzetto abbozzato al look androgino, il tutto con eleganza fuori dal comune, impreziosita dal suo sguardo bicolore e magnetico. Con lui non c'è partita per nessuno.


Perdonatemi l'ardire del passaggio ma, in Italia, maestra nel rinnovarsi è sempre stata Patty Pravo, una delle nostre dive per eccellenza. Icona di charme e sensualità, le sue mutazioni hanno riguardato per lo più gli abiti, spesso provocatori, soprattutto sul palco del Festival di Sanremo dove azzardò anche una camicetta completamente trasparente e che poco lasciava all'immaginazione.
Gli anni passano ma lei resta sempre la più elegante del liceo, quella che ti guardava sempre con un'aria snob ma che non ti faceva mai mancare un sorriso.
Non tutti riescono a conservare la freschezza degli esordi, in alcuni casi il cambiamento è a dir poco scioccante. Da dove cominciamo? C'è solo l'imbarazzo della scelta.


L'avete riconosciuta? Sono vecchie immagini di Sinead O'Connor, la cantante della celeberrima "Nothing Compares 2U", che la portò ai vertici delle classifiche.
Negli ultimi vent'anni ha fatto parlare di sè più per certe sue uscite discutibili che per la musica, parlo della foto di Giovanni Paolo II strappata in diretta tv e accompagnata dalle parole "Combatti il vero nemico!": a posteriori ha chiesto scusa. Più che altro dovrebbe chiedere scusa a se stessa per essere diventata l'ombra della meravigliosa ragazza che aveva fatto innamorare il mondo.


E' andata meglio a Annie Lennox, la scintillante voce degli Eurythmics.Oltre a regalarci perle musicali d'alta eleganza e aver vinto un Oscar come miglior canzone ("Into the west", inserita ne "Il signore degli Anelli - Il Ritorno del Re"), si è sbattuta per importanti cause umanitarie e, a quasi sessanta anni, è riuscita a conservarsi piuttosto bene. Bisogna essere sinceri però, qui sono il trucco e l'acconciatura a fare la differenza, ad avercene di donne che arrivano così alla sua età.


Quando Arisa si presentò a Sanremo, sembrava uscita da un fumetto. Vedevi questa Ugly Betty al microfono e pensavi "Ok, è uno scherzo, vedrai che ora si toglie gli occhiali e il naso finto!"
Invece no, era proprio lei e, a sentirla parlare, i dubbi che fosse il personaggio di un cartoon aumentavano. La ragazza venuta dalla provincia potentina era si acqua e sapone ma anche piuttosto ingenuotta, tipico esempio della paesana lucana. Non voglio offendere nessuno, sia chiaro, ma ho studiato in quelle zone e so di che parlo. Soprattutto per questo motivo piacque così tanto alla gente comune.
Al Sanremo successivo, le cose non migliorarono di certo. Imbolsita, con un improbabile zazzera riccia e mise d'altri tempi (oltre a degli occhiali ancor più disneyani), deviò le critiche sul look con una canzone allegra e scanzonata come "Malamorenò".


Sapendo quanto conta l'aspetto nello show business, la casa discografica è intervenuta. E lei, per non fare la fine di Valeria Rossi e di tante altre meteore, si è messa a dieta e nelle mani di uno stylist cazzuto. Ora sembra davvero un'altra, anche in ambito musicale dove l'impronta di Mauro Pagani - produttore dell'ultimo lavoro - si è sentita tutta.


La testa della gente viaggia su treni mentali deviati. Quando subisce un imprinting mnemonico, quello resta, non lo schiodi più. E' quello che accade quando un cantante famoso sparisce per qualche anno: resta nell'immaginario con quelle fattezze, come se non dovesse crescere più, come se il tempo per lui dovesse fermarsi. Non è così, non può esserlo.
E' quello che è capitato ad Axl Rose, il frontman dei Guns n' Roses (della cui tribolata storia infantile abbiamo parlato qui).


Dopo la storica rottura con Slash, Axl è rimasto lontano dalle scene per parecchi anni, per rimettere in sesto i cocci del gruppo e del suo ego. Nei ricordi dei fan, era rimasto ancora il ventenne biondo e magrolino che saltava da un lato all'altro in bandana e kilt.
Peccato che quando è riapparso, sembrava avesse ingoiato Slash e tutti i vecchi componenti del gruppo.


Dopo quell'empasse fisico a dir poco disastroso, è riuscito a rimettersi in forma, come da foto recenti. Non è tornato lo splendido ragazzino sfrontato dei bei tempi ma quantomeno adesso è in condizioni più che dignitose. A me, a dirla tutta, tutto ciò interessa poco, è la voce che conta, magari da riassaporare in un nuovo album di inediti. Ne avrebbe in quantità industriale e non voglio che tiri le cuoia prima di ascoltarli.


C'è chi invece, altro che tirare le cuoia, ha deciso di morire sul palco, come Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones.


Alla soglia delle 70 primavere, il chitarrista non ha alcuna voglia di ritirarsi. Lui e il fido compare Mick Jagger hanno fatto un patto col Diavolo e il testimone, invece di consegnarlo ai loro figliocci, se lo tengono ben stretto tra le mani.
Peccato però che il tempo avanzi implacabile e il loro viso, più che rock, sembri un quadro horror. Non a caso, la stampa inglese si è sbizzarrita e dopo l'ultimo concerto tenuto a Glastonsbury, abbia titolato "La notte dei morti viventi".


Come rispondono loro? Non serve un "Cazzo vuoi?" come avrebbe detto il mio vecchio compagno di scuola Vincenzo. Non serve proprio una risposta, basta il loro simbolo a far capire quanto giustamente se ne freghino delle rughe. "It's only rock'n'roll" ma continua a piacere, a loro e a noi.


Nessun commento: