RADIOFRECCIA - LUCIANO LIGABUE
"Mi colpisce molto l'accusa di incoraggiare alla droga. Il messaggio del film va nella direzione opposta. La scena in cui Freccia viene iniziato all'uso dell'eroina da parte di una bella ragazza mostra il sangue di lei ancora nella siringa che viene passata. La scena è forte per il semplice motivo che farsi una pera è un atto forte.
La presa di distanza dal gesto è immediata. Mentre si buca s'odono le note di "Rebel rebel" di Bowie. Come la droga entra in circolo la musica cessa di colpo. Silenzio. Il resto del film è l'odissea di una generazione, quella di gente come me che si è salvata per il rotto della cuffia. Freccia è l'esempio di questa odissera e morirà di eroina. Vi sembra che questo sia un incoraggiamento all'uso della droga o la santificazione di un drogato?"
Luciano Ligabue, 1998 - Corriere della Sera.
RADIOFRECCIA - Pt. 2
Ogni volta che c'è una scena di uno che si fa in vena, io mi giro dall'altro lato. Mi fa schifo, chiudo gli occhi come si faceva da bambini. Ho sempre avuto paura delle siringhe al punto che da piccolo non lasciavo mai le braccia fuori dalle coperte.
All'inizio degli anni '90, ci fu il boom dell'eroina: i morti non si contavano. Andavo alle medie a Taranto - abitavo in un paese a 20minuti - e ogni aiuola era un prato di siringhe: se ci ripenso mi batte il cuore, e non scherzo. Trovavi gente che ti biascicava "C'hai mille lire?" e tu ti voltavi dall'altro lato, correndo verso l'entrata della "Cesare Battisti".
Ricordo una sera in cui papà ci portò in città a fare compere. Prima ci passarono di fianco due travestiti, saranno state le 19: avevano la barba e puzzavano. Dopo toccò ad un tizio che non aveva alcuna intenzione di lasciarci perdere: con i suoi occhi infossati e le parole impastate, voleva dieci carte, altro che mille lire.
Mio padre giurò che non ci avremmo più messo. Per fortuna non fu così e oggi Taranto è un'altra cosa: c'è solo un retrogusto di rosso diossina in quel verde delle aiuole ma tempo al tempo.
Quando Freccia viene iniziato all'eroina, ogni volta mi nascondo gli occhi con le mani. Freccia si buca per riempire il suo di buco - una voragine dentro bella profonda - e si buca come prolungamento dell'atto sessuale appena consumato. Si, Liga disegna una scena cruda, priva di compiacenza, ma il messaggio che vuole lanciare non può scendere a compromessi. I moralismi lasciamoli da parte.
Le immagini, da lì, scivolano tra goliardate, scherzi bastardi e sgangherate audizioni per trovare nuovi deejay. E intanto il protagonista incontra una donna che si infatua di lui, Marzia, trova casa e anche le prime crisi d'astinenza.
La pellicola ci regala un nuovo guizzo quando Freccia va a stendersi in giardino con birra e Diabolik e si trova davanti un ippopotamo. Un uomo a petto nudo che smarrisce le sue sicurezze e, convinto sia un parto della sua mente, inizia a piangere disperato. Psichedelica e surreale, è una delle scene migliori.
Il ragazzo scoprirà trattarsi di un animale reale, scappato dal circo, fatto successo sul serio nella Correggio del Liga.
Ma, wait... Non c'è solo Freccia.
C'è Boris, lo stronzo sputasentenze che non partecipa alla lotteria con in palio una donna di facili costumi e poi va a troie.
E Tito, coi suoi abissi che riappaiono in superficie: torna a casa e prende a bastonate il padre, reo di violentare da anni sua sorella: scena molto toccante, un bravo a Enrico Salimbeni.
Liga qui sceglie di non distrarre con un pezzo ultrafamoso, accompagnandoci con un suo intermezzo musicale.
Infine Mauro, che, dopo aver cullato il sogno di una radio libera, fa i conti con le bollette da pagare e si vende ai soldi del salumificio Ruini: da libero diventa anche lui un operaio che fa i turni nella sua radio.
E' lui l'unico che si accorge di ciò che sta capitando a Freccia, che si gioca la dignità in furti e nefandezze di ogni tipo, facendo la spola tra carcere e riabilitazione.
Scena da ricordare più come curiosità è quella in cui il ragazzo, appena scappato dal centro, fa l'autostop in pigiama: alle sue spalle c'è il Campo Volo, luogo che a Ligabue fa venire i lucciconi dalla gioiaaaaaLa molla scatta quando il giovane si accorge che a spacciare c'è un quattordicenne: qualcosa dentro di lui si ribella. A Tito, che dopo 21mesi di carcere torna in libertà, si contrappongono le violente crisi di Freccia, che prova ad uscirne grazie all'aiuto della tenera e paziente Marzia.
Espiazione, sulle note di "Long train running" dei Doobie Brothers.
E' un dialogo col Guccini barista a segnare la rinascita.
"Oh, affari d'oro la mattina eh?"
"Vuol dire che se muore il commercialista chiamo te, va bene?"
"Ahhh, proprio buono il tuo caffè... Sa di fosso!"
"Allora gli stronzi come te non dovrebbero berlo, dovrebbero galleggiarci in cima."
Lampi. E i sorrisi di un uomo ritrovato.
Il primo a capitolare è Iena.Il suo matrimonio porta in dote allegria, una moglie zoccola a partire dal giorno stesso delle nozze, e un colpo di fulmine per Freccia, Cristina, che ritroveremo più avanti. E' il 1977 e in radio Freccia parla del suo periodo buio a Mauto, a Tito che ascolta, e soprattutto a sè stesso: è un altro bagliore del film.
"Si dicono un sacco di stronzate sull'eroina." esordisce Freccia.
"E' vero! Tu ad esempio come hai cominciato?"
"Io mi sono lasciato cominciare. E' stata una tipa a farmi provare, a me non sarebbe mai venuto in mente di infilarmi un ago in vena."
"E perchè hai lasciato che lei lo facesse?"
"Beh, probabilmente quella volta più che chiedermi 'perchè' mi sono chiesto 'perchè no'?"
Ve la lascio ascoltare, senza annoiare con inutili arabeschi.
"E adesso pensi che ne valesse la pena chiedersi quel 'perchè no?' la sera che hai fatto il primo buco?"
"Questa è una domanda del cazzo!"
Già, una domanda del cazzo nell'ennesimo squisito dialogo tratteggiato dal rocker di Correggio.
Le cose per il ragazzo stanno tornando alla normalità ma ci si mette di mezzo proprio la donna conosciuta al matrimonio: Cristina, Miss Carpi '77, gli fa perdere la testa e dopo un pò lo scarica.
"The passenger" di Iggy Pop prende per mano il suo cercarla, il suo morirle appresso.
Alla risalita corrisponde una caduta ancor più rapida, certo più rovinosa.
L'uomo inizia a rubare Mercedes per arrivare al livello che vorrebbe, secondo lui, la donna, e va sotto la sua finestra a mostrargliele, in modo infantile:
"Allora, la pianti?" dice lei seccata, affacciandosi.
"Questa basta?"
"Mi deludi proprio ciccio. Un figo come te su una macchina da papponi?"
"Te ne intendi di macchine da papponi eh? E non chiamarmi ciccio! Fra cinque minuti passo con una corriera..." con voce rotta. Grandioso Accorsi qui, non solo qui a dire il vero.
Due macchinoni in fiamme, una canna e poi di nuovo nel tunnel per un altro buco, l'ultimo. Freccia muore.
Nessuna espiazione, non più, solo castigo.
E d'un tratto si torna nel presente, sedici anni dopo la notte in cui Freccia se ne andò. Bruno svela come sono finiti gli altri, il loro presente, per poi decretare la morte della radio sfumando sul monologo di Freccia e sui suoi "credo". Ligabue si rigioca il jolly nel finale, prima di attaccare la sua "Ho perso le parole".
Ligabue, tuttavia, ha girato un film vero, in equilibrio sulla linea d'ombra che separa l'adolescenza dalla maturità. Con i suoi svitati, la sua crudezza, gli scherzi e le siringhe, ha saltato a piè pari sopra tutti quei critici che lo aspettavano al varco e che sono rimasti col magone, per il successo meritato della pellicola.
Il vero jolly secondo me non è Accorsi, o Guccini, o i fuori di testa del borgo. No, il vero jolly di questo film è la colonna sonora. Costata ben 500milioni di lire, è il personaggio occulto del film: è sempre lì, che borbotta come il barista, che si alterna al microfono con Bruno, che fa l'occhiolino in camera (e Liga è l'unico a vederlo e sorride) e che cerca di salvare Freccia con pere di musica e gioia di vivere. Ecco, quello è un buco per cui non mi nasconderò mai gli occhi con le mani.
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