SOGNI DI ROCK, PLASTICA E POPCORN
"Di carriera mi interesso poco. Ho esordito alla grande con Destinazione Paradiso, poi ho preso delle decisioni. Quel primo disco era pieno di parole e melodie e basta.
La differenza è che ora faccio la mia musica, quella che mi emoziona, e dico quello che penso."
Gianluca Grignani.
La prima volta che vidi Gianluca Grignani fu al Sanremo del '95. Era nelle nuove proposte e si presentò sul palco allegro, con un maglione sformato e con un pezzo dall'appeal talmente forte da stuprare Sanremo, le radio e il futuro.
Eppure a me stava antipatico, e non poco. Mi sembrava l'ennesimo belloccio pronto per i milioni di ragazzine pronte a innamorarsi e a starnazzare come oche. Mi sbagliavo, quanto mi sbagliavo...
Passarono alcuni anni e nel frattempo "Destinazione Paradiso" aveva venduto copie come noccioline, conquistando anche il Sudamerica. La sovraesposizione del giovane milanese me lo aveva fatto inimicare ancor di più.
Quando uscì "La Fabbrica di Plastica", immaginavo avrebbe cavalcato l'onda, con un album melodioso almeno come il primo. Niente di tutto ciò: la title track era diversa, spigolosa; i capelli tagliati e un look meno "bello e dannato" e il primo video dalle tinte scure, quasi opprimenti.
Ero combattuto. Cosa vuole questo? Da dove esce? E' un pazzo o solo un gran paraculo?
Quando ascoltai "L'allucinazione", uno dei singoli successivi, mi colpì ancora di più e una vocina dentro cominciò a sussurrare "Attento, questo ti fotte..."
Si, mi ha fottuto perchè, combattendo col mio orgoglio che non voleva dargli ragione, comprai l'album. Quando lo pagai, la stessa vocina bastarda mi disse: "Che cretino, te l'avevo detto che ti fotteva... Pensa se il cd non ti piacesse: hai gettato i soldi e ti dovrai tenere un cd di uno che ti sta sulle palle..."
No, è un grandissimo album, che ascolto ancora oggi e, cara vocina, Grignani ha fottuto pure te.
Non ricordo le prime impressioni che ebbi ascoltandolo. Aveva però ragione, non era certo un album di facile presa: è ruvido, scartavetra le orecchie e i preconcetti.
Le vendite infatti non arrisero. Dopo il milione e mezzo di copie del primo lavoro, il secondo si arenò attorno alle centomila copie smerciate, un flop esagerato.
E mi rodeva non poco perchè, nel frattempo, da suo detrattore ero diventato un fan convinto e lo prestavo a destra e a manca per far capire ciò che provavo, prendendomi a volte i vaffanculi aggratis di chi continuava a inzuppare preconcetti nel caffèlatte del mattino.
Nonostante a quel tempo ascoltassi roba melensa, le sue chitarre distorte mi erano entrate dentro.
Le facili melodie avevano lasciato spazio ad un rock esagitato, a grinta repressa, ad un rigurgito di emozioni e sensazioni troppo a lungo tenute tra testa e stomaco. Persino la copertina era semplice, banale e non c'era il suo viso ammiccante per far presa sul pubblico femminile.
La rabbia esplode sin dal pezzo d'apertura. La canzone che dà il titolo all'album è un duro attacco al mondo discografico, che vorrebbe omologare Grignani.
"Se il mondo è di plastica, è fatto di plastica, il mio è di plexiglas blu."
No, lui non vuole essere plastificato e opaco: vuole essere trasparente e limpido come il plexiglas che è sempre plastica ma lascia passare i colori e le luci di ognuno di noi. Un bel contrasto. E poi chiude con:
"Ma la fabbrica di plastica ha una valvola di sfogo nel costato ed è lì che sono nato, è da lì che son passato..."
Una ciliegia appena colta, che pensi sia gustosa e invece nasconde un verme, di plastica appunto.
E' un album tirato come già detto. Grignani spinge subito con "+ Famoso di Gesù", in cui il contrasto tra la musica graffiante e il testo delicato è quasi accecante. La parte più acida musicalmente corrisponde ad un Grignani in stato di grazia:
"Lei per me è la collisione col pianeta Luna Park,
nella testa un'implosione che mi lascia senza gravità.
Lei è una torta, è la mia giostra, l'universo in un frappè,
lei sdraiata su di un prato il creato osserva insieme a me..."
Implosioni a fuoco di rara bellezza.
A seguire, una delle canzoni più controverse ma anche più riuscite. "Solo cielo", ballata dai sapori alla Guns n' Roses per sue stesse parole (io non ci vedo grande assonanze sinceramente...), rivela i dubbi di chi sfonda i concetti dogmatici della religione, manifestando disincantato ateismo e un cinismo fin troppo maturo per un ventenne di successo.
"Dio non vive qui con me, ma dovevo immaginarmelo,
è probabile che sia un bisogno della mente mia."
Lassu' c'è solo cielo ma la porta alla speranza resta aperta:
"Eppure, oltre al tempo, qualcos'altro ci sarà. Non posso immaginare tutto qua."
Il Grigna si rapporta al discorso (in modo meno serioso) in "Dio privato", canzone presente sul successivo "Campi di Popcorn". Con toni scanzonati, immagina un Dio umano, coi suoi difetti e i suoi vizi, stravaccato sul divano con il tempo tra le mani.
Due pezzi bellissimi ma molto differenti: nessuna via di mezzo, come spesso è capitato nella sua carriera.
Dopo la prima ballata, si torna a velocità sostenute con "Testa sulla Luna", altro brano sull'amore, stavolta declinato in modo differente. L'autore sembra dire: "Se non vi dò retta, non fateci caso. Penso a lei e non bado al resto del mondo". Da una parte è genuino e romantico, dall'altra è quasi un divertito spiegare perchè a volte non dia retta a nessuno nemmeno di striscio.
Il titolo è rimasto nel cuore dei fan, ormai conosciuti anche come "Teste sulla luna".
"Fanny" segna uno dei momenti più intimi del disco, galleggiando nuovamente su acque d'amore. La base e le parole sono dolci e acide allo stesso tempo ma vengono sfaldate da una chitarra distorta sprezzante. Se si pensa che è la prima song scritta per una sua ex si capisce il perchè.
Si arriva così al pezzo che ha segnato il solco in me, "L'allucinazione". La canzone d'amore per eccellenza, leggenda narra fosse dedicata ad Ambra Angiolini:
"Mi guardo un film ma tu che cosa fai persino dentro la tv..."
Tra parole e musica c'è un sottile equilibrio che regge alla perfezione. Secondo me, se fosse stato il primo singolo, l'album avrebbe venduto di più ma francamente poco importa.
Bello il testo de "La vetrina del negozio di giocattoli", che rimane sempre su standard molto elevati anche a livello musicale e di arrangiamenti. Dalla fabbrica di plastica si passa al negozio di giocattoli, nuova metafora grignaniana per espletare il suo bisogno di scappare da certi meccanismi che soffocano la sua arte.
A seguire "Galassia di melassa", canzone dal testo intimista in cui svela la sua solitudine e il suo smarrimento, aspettando il momento in cui tutto cambierà e nuoterà "sincero e leggero" nella sua galassia di melassa.
"Rokstar" è nuovamente bile e veleno verso il circuito musicale, che tende a stritolare tutto e tutti in nome del successo e del denaro. Il verso "Sai qual è il successo? Esser figlio di sè stesso!" è l'ennesima cometa luminosa ma è con il pezzo successivo che Grignani cambia registro.
Basta schitarrate gastriche, basta percussioni e bassi insistenti. Si siede con la chitarra e sembra di sentirlo cantarci di fianco la sua "Il mio peggior nemico". Su un sottofondo di rumori e voci rubate in un aeroporto, è come se ci dicesse "Ancora non hai capito chi sono e cosa sto cercando di dirti? Bene, siediti che te lo rispiego amico."
E ce lo spiega a modo suo, con la solita sincerità, col cuore in mano:
"E' una vita che provo a cambiare, sbaglio e faccio finta di imparare.
Solo sai che adesso il lago è fermo tanto che ci si può specchiare.
Sono io... E' questo il mio momento e me lo dico.
Io sono di me stesso il nemico..."
Ora si, è più chiaro. Gianluca è un ragazzo controverso, pieno di saliscendi emotivi e di lucida follia.
Qualcuno lo considera un pazzo ad aver fatto un album del genere. Lui con la consueta tranquillità una volta rispose ad un giornalista: "Non so, io volevo solo rifare The Bends dei Radiohead".
Si, ma è come se Cremonini facesse qualcosa tipo il Black album dei Metallica e Max Pezzali cercasse di imitare i suoi beniamini Rammstein, si perchè, strano a dirsi ma Max ne è un fan accanito.
L'album sembrerebbe finito eppure non è così. Quando prestai il cd al mio alter ego Antonio Chimenti, lui ne rimase entusiasta e mi disse della ghost-track, che io ignoravo completamente.
Dopo "Il mio miglior nemico", la traccia continua nel silenzio sino al minuto 11.13 quando parte una schitarrata della Madonna che attacca "Qualcosa nell'atmosfera". Again rock duro, è uno degli episodi più riusciti del lavoro. Non so perchè abbia deciso di nasconderlo così invece di dargli la giusta visibilità ma in "Uguali e Diversi" forse ha compreso l'errore e nel finale di "Alex", si ricollega proprio a questo pezzo, con una chiusura da applausi.
Reputo "Alex" una canzone assolutamente fuori dagli schemi grignaniani, l'ennesima folgorazione, un piccolo film fatto canzone. Parla di un perdente, uno che in preda a gin e fumo vuole vendicarsi solo lui sa di cosa. Troverà un sorriso sardonico, non il suo, e il caldo del piombo ad attenderlo, prima di attraversare il grande fumo.
Gianluca ha attraversato fumi personali spessi, sorrisi e piombo (di certa carta stampata) ma è sempre qui, come plexiglas blu continua a regalare riflessi di colori e libertà. Talvolta quei riflessi sfociano nel chiaroscuro profondo, in carezze di buio personale e musicale ma di quello parleremo nella seconda parte.
....CONTINUA QUI
2 commenti:
Bellissimo il tuo racconto che condivido al 100%! Ero e sono estasiato da quell'album, come per Campi di Popcorn...
Grazie mille, sono contento che ti sia piaciuto. Quei due sono album veramente cazzuti e troppo sottovalutati, ed è un vero peccato.
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