5 giugno 2013



OLTRE I CONFINI DI LONDRA


"La cosa che colpisce dei Clash è come sia diventato universale il loro appello. E tutte le influenze nella loro musica possono essere ricondotte a poche miglia quadrate all'interno di Londra. Penso a loro e mi viene in mente Ladbroke Grove, a ovest di Londra: riesco a vedere le porte dei negozi di dischi, riesco a percepire l'odore dei ristoranti jamaicani. Tutto così lontano da un semplice piatto di fish and chips. Ed era così eccitante vedere una band britannica sfondare in quella maniera, come non accadeva dai tempi degli Who e dei Rolling Stones".
Bono Vox - 2003 (The music interview - 142 Revolution Rock - by Elton John and Bono)

                 THE CLASH - Pt. 1 di Angelo Lo Bianco

La prima volta che ascoltai i Clash fu in uno spot, si, quello di una nota marca di jeans. Ero ragazzino ma capii subito che non era una band qualunque, una delle tante: erano qualcosa oltre.
Innovatori, anticipatori di tendenze e generi musicali, creatori d'arte, ricercatori e passionali musicisti rock: ecco cosa sono stati.
Ascoltarli oggi - a quasi vent'anni - risveglia vecchie emozioni e ne fa brillare di nuove: immagino uno spaccato della società di quegli anni, i suoi bianchi e i suoi tanti neri, e mi accorgo di come sia ancora estremamente contemporanea.

Sebbene british, mi riportano alla mente nostalgie americane. Prima di partire per Chicago, mia sorella mi preparò un cd pieno zeppo di canzoni dei Clash. Mi capitava spesso di viaggiare da una città all'altra, lungo le highway a quattro corsie, dritte come spade conficcate nelle sperdute campagne del Midwest.
Correvo lungo panorami sconfinatamente piatti, tra campi di granturco a perdita d'occhio, fattorie sparse qua e là e piccole cittadine tutte identiche nella loro semplicità.
Prima di arrivare in America, immaginavo grattacieli, agglomerati urbani estesi oltre la capacità d'immaginazione, tombini fumanti e sceriffi ingrugniti: insomma, tutto quello che vedevo nei film. In parte i miei erano sciocchi stereotipi, le grandi città sono solo una minima parte di quell'immenso paese. L'America, quella vera, era ed è quella che scorreva dal finestrino della mia auto.
Mi accompagnava una ragazza, arrivata negli States proprio per inseguire il suo "american dream": era molto attraente, i suoi capelli erano pennellate bionde e i suoi occhi blu brillavano di fronte a quei cieli carichi di sogni e speranze.

Il giorno del Ringraziamento decidemmo di dirigerci a sud per vedere il Mississippi. Lo stereo suonava la mia raccolta dei Clash. Io ormai conoscevo tutti i pezzi a memoria, lei no, ma riuscii pian piano a contagiarla e alla fine un unico coro esplodeva dai finestrini: "I fought the law and the law won".
Ci fermammo a St. Louis in una locanda. Una band del posto, fra un pezzo di Johnny Cash e uno dei Lynyrd Skynyrd, ci infilò proprio una versione country dell'originale "I fought the law" dei Bobby Fuller Four.
Ignoravo l'origine del pezzo, scritto nel 1959 da Sonny Curtis dei Crickets e diventato poi celebre grazie all'interpretazione dei Bobby Fuller Four. Joe Strummer e Mick Jones la ascoltarono per la prima volta in un juke-box a San Francisco e decisero di pubblicarla come cover nell'EP "The cost of living".


La storia dei Clash ha origine nelle periferie di Londra, a Clapham, Brixton, passando per Camden. Da questi pochi km quadrati, il pensiero dei Clash si estende a macchia d'olio fino a diventare un messaggio universale. Quelle strade hanno visto crescere e maturare i quattro componenti storici della band, portati alla ribalta come spalla dei Sex Pistols e cresciuti in fretta, fino a superarli rapidamente.
Si distinguono sin da subito dai Sex Pistols, conoscono la musica, sono sul serio capaci di suonare e open minded verso ogni genere musicale. Sono artisti nel vero senso della parola, non perdono occasione per omaggiare i grandi musicisti del passato e, soprattutto, sono ostili a sputare nichilismo.

Cos'è infatti "London Calling" se non un tributo al rock 'n roll? Lo si capisce già dalla copertina, che è un omaggio al grande Elvis. La grafica utilizzata riproduce quella usata dal re del rock per il suo debutto discografico datato 1956. Ray Lowry, il grafico dell'album, ha voluto mantenere fedelmente gli stessi colori: il bianco e nero in sottofondo e il lettering in rosa e verde.


Due copertine bellissime, due istantanee entrambe scattate dal vivo. E' il 21 settembre del 1979 e, al Palladium di New York, Paul Simonon sta distruggendo il suo basso. Sono precisamente le 22.50, il minuto in cui l'orologio di Simonon smette di funzionare per la botta presa. E la fotografa che ha immortalato quell'istante si è anche accaparrata l'orologio rotto.
Quel momento e quella copertina sono sicuramente conficcati nella testa di molti amanti del rock, diventando persino più famosa dall'originale.

"London calling" è un album di rock and roll politico più evoluto rispetto al punk. Dentro convivono il rockabilly, il reggae, lo ska con ogni altro genere musicale che proviene dalla strada. E' un doppio album ma costava come un singolo. E' sicuramente un lavoro maturo che oltrepassa la ribellione "musicale" dei precedenti.
Lo stile delle canzoni non è più quello aggressivo, nessuno dei pezzi è espressamente punk. I momenti più rock - comunque lontani dalle sonorità tambureggianti del punk di alcuni anni prima - sono la stessa "London calling", "Brand new Cadillac" e "Death or glory". I testi, al contrario, continuano a mostrare un profondo impegno sociale.
L'album inizia proprio con l'omonima canzone, quasi un triste presagio al catastrofico nuclear error che si sarebbe verificato solo pochi anni dopo a Chernobyl. E' un grido di ribellione: Londra chiama ed è pronta per una rivoluzione.

"The right profile", dai sapori jazz e dal facilmente distinguibile suono di sax, mette ancora più in luce l'eleganza e la grandezza della band: con questa canzone rendono omaggio a Montgomery Clift, uno dei grandi attori della prima generazione di Hollywood. Era figlio di quell'America che rappresenta luce e buio per i ragazzi: amata fonte di ispirazione ma anche odiata e criticata in "Koka Kola".
Una curiosità la si può dire su "Train in Vain (stand by me)": inizialmente fuori dalla scaletta, viene inserita come traccia nascosta alla fine dell'album solo perchè le custodie degli LP erano già state stampate.

L'integrazione fra culture diverse e la vicinanza col pubblico sono l'elemento distintivo di ogni canzone. Uno dei singoli che maggiormente esprime queste peculiarità è "Guns of Brixton". Il pezzo è scritto e cantato da Simonon, Brixton è il suo quartiere. Si parla di repressione e ribellione, e sembra quasi anticipare un clima di rivolta che da lì a poco si svilupperà proprio in quelle strade.
                                                                                                                                     ...FINE PRIMA PARTE


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