Mi manca molto la masseria di mio nonno. Quando l'ha venduta è come se fosse morto un parente, uno di quelli stretti che ti hanno visto crescere e che, ogni volta che ti incontravano, ti offrivano una caramella Rossana o un Cremino rigorosamente sottomarca.
I giorni passati lì erano privi di errori, erano da prendere e tatuare sulla cute della memoria. Erano vivi, puri, si viveva dei sorrisi dei nonni e della loro saggezza, di momenti al di fuori del bene e del male, di animali intorno e di odori che non sento più, e Dio solo sa quanto rivorrei qui, ora, sempre.
Ho vivida dinanzi a me l'immagine degli oggetti di quel luogo: la sdraio con le stringhe di plastica gialla che, sudando, ti si attaccavano alla pelle; la tavolata di legno e le sedie foderate di pelle bordeaux; il camino che d'inverno regalava grigliate e bruschette di un livello fantasticherrimo; e poi la vecchia macchina da cucire di nonna, le sue piante di plastica e il quadro con un cavallo bianco e uno nero che si intrecciavano in un simbolico abbraccio.
Era l'estate del '96, cenavamo costringendo i nonni a vedere Friends in tv e poi le Olimpiadi di Atlanta; spesso però mollavamo la televisione appena finito e ci rifugiavamo in terrazza.
Spegnevamo le luci per evitare che si avvicinassero orde di zanzare - bastava la luce eterea della Luna - ed eravamo in un'altra dimensione. Quel cielo era il disegno di un bimbo, che prende il giallo Carioca e riempie di puntini una massa nera infinita. Le stelle erano lì, scendevano e ti portavano altrove.
DA BLACK HOLE SUN A PINK MOON
Ricordo la notte di San Lorenzo di quell'estate. Giocammo a chi vedeva più stelle ferire il velo nero. Ne vidi sei o sette e ogni volta che una mano invisibile tracciava una rapida scia di luce era una scarica d'adrenalina fortissima.
Chiudevo la mente dentro al walkman e mi lasciavo trasportare in quel nero puntinato su cui spiccava un maestoso e ipnotizzante disco bianco, sognando di fuggire via. Non avevo capito che non serviva fuggire: in quel posto e in quel momento avevo già tutto quello che avrei potuto desiderare.
Il fascino del buio interplanetario, come detto nell'articolo precedente, ha sempre affascinato gli artisti musicali. Le canzoni rock e pop dedicate alle profondità celesti non si contano.
Una delle più famose è "Black Hole Sun", pezzone grunge dei Soundgarden e uno dei capisaldi della musica rock degli anni Novanta.
Quando uscì, avevo solo quindici anni, ero uno sbarbatello che di rock non capiva proprio una siffrediana ceppa. All'inizio, infatti, fu il video a colpirmi e a squietarmi. Comincia in modo sereno, tra paesaggi ariosi e nuvole passeggere. A seguire, però, arrivano personaggi improbabili e orrorifici, visi e sorrisi deformati e quadretti tipicamente americani deturpati dalle pennellate di pazzia di un pittore sadico.
E mentre la band suona senza mai guardare in camera, si susseguono immagini surreali: una capretta al guinzaglio che ciuccia latte; un pesce ancora vivo che sta per essere decapitato; una barbie sulla griglia e una donna dalla lingua lucertolesca.
Le nuvole alle spalle diventano sempre più cupe, preludio all'Apocalisse, che risucchia a sè mostri e (a)normali.
Chris Cornell disse di averla scritta dopo aver passato la giornata a guardare film horror. Non stento a crederlo.
Dal Sole alla Luna. Correva l'anno della mia nascita - il 1979 - e i Police lanciarono "Regatta de Blanc". Il seguito del loro primo fortunato album "Outlandos d'Amour" scoppiò ancora più prepotentemente, grazie al primo singolo "Message in a bottle". A seguire arrivò "Walking on the moon", dall'incedere reggae, e fu anch'esso un successo immediato.
La scrisse Sting, ispirato dal ricordo di una sua vecchia fiamma mentre era ubriaco. Chissà che storia racconteremmo se, ubriaco, avesse visto film horror come Cornell...
Ai tempi dell'università era consuetudine passarsi mp3 e film in divx. Mi divertii molto "La ragazza della porta accanto", una caciarona commedia americana in cui un ragazzetto scopre che la sua vicina di casa è una pornostar e, manco a dirlo, se ne innamora: dovrà fare i conti con il suo produttore.
Film ingarbugliato più di quanto dicano le mie parole. Non un capolavoro, sia chiaro, ma per passare una serata tra amici può andar bene.
Mi piacque molto la colonna sonora, che spaziava da "Under Pressure" di Queen+David Bowie ai Monster Magnet (che bomba "Dopes to infinity"), dai Lynyrd Skynyrd a Marvin Gaye. In quel melting pot musicale, scoprii un vecchio pezzo degli Echo and the Bunnymen ovvero "The Killing Moon", il loro maggior successo commerciale. Fossi in voi gli darei una chance e me l'ascolterei.
Salto mortale carpiato. Tra gli evergreen pop, c'è sicuramente "Drops of Jupiter" dei Train. Le loro gocce di Giove sono state una delle hit mondiali della stagione 2001 e, nonostante la vena popolare della canzone, il testo, prima di virare verso sfumature romantiche, fa riferimento alla mamma del frontman morta di cancro. Lacrime terresti più che gocce di Giove, e purtroppo molto reali.
Rimanendo in ambito pop, alzi la mano chi non si ricorda "Goodnight Moon" degli Shivaree. Tormentone assoluto di fine millennio, ci ha impestato l'anima come canzone da spot o da colonna sonora. C'è cascato anche Quentin Tarantino: il suo Kill Bill vol.2 termina con questa canzone del gruppo americano. Certo, ci ho pensato bene prima di inserirli qui: l'elegante frontwoman dal pronunciato strabismo e il suo gruppo sarebbero potuti finire di diritto tra le meteore della musica: sono letteralmente spariti dai radar.
Le canzoni dedicate al nostro satellite riempirebbero un'enciclopedia De Agostini e vista la piega "meteore", ne citerei un'altra. Ve li ricordate i Savage Garden? Ci ammorbarono con la loro zuccherosissima "Truly Madly Deeply" nel 1997. Di quel fortunato primo album, il secondo singolo fu la più movimentata "To the moon and back" che - devo ammettere - riascolto con piacere.
Due album e anche loro sono spariti: o la luna porta sfiga o, presi i soldoni, hanno tagliato la corda. "Quelo" Guzzanti avrebbe la risposta giusta.
Direi che è ora di rialzare il livello.
Uno dei personaggi di culto della storia della musica è senza dubbio Nick Drake. Nel 1972 pubblicò "Pink Moon", mezzora scarsa di canzoni chitarra e voce che ancora oggi scivolano dentro e cominciano a suonare le corde dell'anima. Amato dai chitarristi ma anche da stuole di fan ancora oggi, Drake era persona difficile, mentalmente labile e sempre oltre il filo dell'equilibrio, a causa di una lunga depressione. Eppure quando prendeva la chitarra scompariva d'un tratto tutto quanto, riportandosi al sole e lasciando solchi indelebili.
"Pink Moon", 11 canzoni di elegante folk-pop acustico, fu creato nel corso di una sola notte: bastarono due ore di registrazione, due.
La Luna rosa è, secondo la tradizione cinese, portatrice di sciagure e mai come stavolta ha dato ragione alle credenze popolari. Drake, da anni attanagliato dai suoi incubi, morì due anni dopo. Lo trovarono esanime una mattina, ucciso da un'overdose di antidepressivi. In pochi credono che abbia voluto farla finita - in casa c'erano medicinali ben più potenti dell'Amitriptilina che lo ha ucciso - ma nessuno sa perchè esagerò quella sera. Forse ha ragione la sorella che disse:
"Non credo che Nick volesse uccidersi, credo che le cose siano andate più o meno così: Nick ha vuotato la boccetta di pillole nella sua mano e se le è messe in bocca dicendo a se stesso: Al diavolo, se muoio pace, se non muoio da domani sarà tutto diverso."
E tutto è stato infinitamente diverso.
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