I miei ricordi degli anni '80 tendono a perdere contorni ma i colori sono sempre lì, caldi come in un quadro di Monet. Ero ragazzino e mio padre uscì per andare a passare la notte in ospedale, per star vicino al nonno che non stava granchè bene.
Avevamo una vecchissima Golf di color celeste metafisico, dagli interni all'Arbre Magique gusto Marlboro e dalle portiere che andavano scassinate per poter salire. Con il candore dei giusti, la lasciò nel parcheggio dell'ospedale.
Dopo aver dormito pochissimo, scese per andare al lavoro e della macchina non c'era traccia. In compenso trovò il guardiano del parcheggio che riuscì a dire un illuminante:"Eh, si, qui le rubano". Genio.
La ritrovammo tempo dopo in condizioni disperate - un'opera warholiana - e senza tutte le musicassette che avevamo. Se ci ripenso mi prende male... La musica con cui ero cresciuto suonava in chissà quale altro stereo, ed allora non c'era certo internet per riscaricarsele al volo. Le cavalcate chitarristiche dei Dire Straits, il rock senza tempo dei Creedence Clearwater Revival (che a quel tempo m'ammorbavano: vai con gli insulti...), Tracy Chapman e le compilation anni '60 e '70 con il beat e gli urlatori: tutto andato. E se n'era andata anche quella gemma rappresentata dal greatest hits di Joe Cocker.
Mio padre non è mai stato un rocker o uno da concerto ma se si parlava di Woodstock gli si illuminavano gli occhi. Avrebbe tanto voluto esserci. Non me lo vedo capellone a sballarsi con "Hey Joe" di sottofondo, ma il nostro Primitivo di Manduria libererebbe i freni inibitori persino a "sono stanco, vado in pensione" Ratzinger.
LE COVER MUSICALI PIU' RIUSCITE E LE PUGNALATE AL CUORE
Un altro piccolo aneddoto mi legò indissolubilmente a Joe lo sbevazzone. Questo però se lo ricorderanno in pochi. RaiTre, primo pomeriggio agli inizi degli anni '90. C'era un piccolo telefilm, uno di quelli che non hanno lasciato segni tangibili, non un Beverly Hills 90210, non un Bayside School o un Friends.
Si chiamava "Blue Jeans" e, attenzione, non il più famoso "Genitori in Blue Jeans", quello è un'altra storia. Ambientato nel 1968, Blue Jeans narrava l'infanzia e l'adolescenza di Kevin e dei suoi amici Paul e Winnie, la sua prima cotta.
Mi divertiva molto seguire le sue storie, i primi approcci amorosi, i piccoli guai. Era un simpatico ragazzino imbranato che cresceva, proprio come me.
Cosa centra con Joe Cocker? Sapete qual'era la sigla di quell'ingenuo ma sincero telefilm? Già, proprio "With a little help for my friend" di Joe Cocker nella versione registrata a Woodstock.
Antonelluccio caro, dovresti parlare di cover... Ecco, lo sapevo che arrivava qualche grillo cianciante. Perchè, di cosa starei parlando?
"With a little Help for my friend" è una canzone di un gruppettino poco famoso, quattro ragazzi di quella città lì, quella in Gran Bretagna. Forse non li conoscete, che ve lo dico a fare... Ah, volete saperlo? Eh, sarebbero i Beatles, così, per gradire.
Il pezzo fu composto da Lennon e McCartney per Ringo Starr: in ogni disco, per tradizione, veniva lasciata una canzone da cantare al nasuto ma simpatico batterista. Così fu. A risentire oggi la versione originale, mi sembra certamente discreta ma lontana dai loro pezzi migliori, soprattutto per un arrangiamento poco incisivo.
Joe Cocker, al contrario, la ricreò in stile rhythm & blues, destrutturandola e cambiandogli tonalità. Al resto pensò il suo carisma alcolico, la sua carica malata e trascinante e un coro da applausi. Ah beh, pure la chitarra di Jimmy Page che suonò sul disco fece la sua porca parte: diamo a Jimmy ciò che è di Jimmy.
Al prossimo Natale regalerò un cd di Joe Cocker a mio padre, forse gli verranno i lucciconi o forse, con la sua consueta gentilezza, dirà: "Stai sempre a buttare via i soldi, non cambierai mai..."
All'inizio del nuovo millennio, mi inflippai per una rock band italiana. Avevo trovato un corposo cd singolo in quel di Taranto a due euri e non me l'ero fatto sfuggire. Si trattava dell'EP "Signor Jones" e il combo in questione erano gli Estra.
Avevo già sentito qualcosa ma quel dischetto, che constava di ben sette tracce (tra rarità e remix), mi travolse come una tramontana fresco. La band trevigiana capitanata da Giulio "Estremo" Casale mischiava grinta e istantanee poetiche di indubbio spessore. Sono sempre stato un amante delle parole, dei lampi di penna, e con loro trovavo rosette appena sfornate per i miei denti.
Ancora oggi continuo a riascoltare la contagiosa "Vieni"(dall'asfissiante video, guardatelo), la decadente "L'uomo coi tagli", la morbosa "Diversa e perversa" e non mi stancano, gli Estra sono riusciti a attaccarsi alla mia pelle come una medusa dagli effetti solo piacevoli. Eppure...
Si, c'è un eppure, grigio. Metabolizzavo le loro vecchie canzoni ed aspettavo il nuovo album. Uscì nel 2001, era "Tunnel supermarket" e quando ascoltai il primo singolo, la medusa cominciò a pungere, sentii dolore.
Avevano rifatto la cover di "The passenger" di Iggy Pop and The Stooges e si sa, certi capisaldi sono già nella vetrina più bella della storia della musica, bisognerebbe guardarli con deferenza, spolverarli, si, ma da lontano, senza neppure accostarcisi... O magari rifarla live, quello si, in ogni concerto ci sarebbe stata benissimo ma rifarne la cover no, è da censura. E se poi la chiami "E' cosi semplice" e il testo sembra avulso dalla aulicità letteraria di Casale le cose precipitano:
"Ti lasci andare, sei semplice e vai.
Tu ti trasformi e non smetterai mai.
E sembra un gioco ogni cosa che fai,
e sembra giusta ogni cosa che fai e lo sai..."
Ditemi che è uno dei banalissimi testi di Valerio Scanu o dei Modà... No, questo non potevo accettarlo dagli Estra.
Quando uno dei tuoi gruppi preferiti fa un pezzo brutto è come se a deluderti fosse il tuo miglior amico. Quando quel pezzo avrebbe potuto sancire la loro entrata nel gotha del rock italiano è come se fossi stato tradito dalla tua donna.
Si, perchè il gruppo era in quella fase lì, ancora sulle spalle dei giganti e lì lì per diventarlo. Avesse azzeccato due pezzi giusti ora parleremmo di un'altra storia. O forse sarebbe bastato scegliere due singoli differenti, perchè in "Tunnel supermarket" di pezzi meravigliosi ce ne sono parecchi: penso a "Sacrale" o "Ai tuoi occhi", lacrime e grazia.
Non so se fare la cover di "The Passenger" sia stata una loro scelta oppure della casa discografica, una cover avrebbe potuto avere più appeal radiofonico. Certo, forse a qualcuno piacque, a me e a molti altri no e fu come mettere una pietra tombale alle velleità di grandezza del gruppo.
Seguì pochi anni dopo un intenso disco live e poi più nulla, solo la mia malinconia.
Giulio Casale per fortuna è andato avanti, regalandoci degli apprezzabili dischi solisti e una lunga carriera teatrale. Ha scritto libri e figura anche nella colonna sonora di un film di Aldo, Giovanni e Giacomo con la bella "La mia realtà".
Non so se gli Estra un giorno torneranno, a me piace pensare di si, che siano entrati nel "Tunnel Supermarket" tanti anni fa e che prima o poi da lì usciranno, con nuove splendide canzoni. Io li aspetto.
Non vorrei (bugia, non vedevo l'ora...) ma il mio ego cazzaro scalcia e non posso trattenerlo, altrimenti somatizzo. Alcune scintillanti riproposizioni meritano spazio e considerazione. Come posso dimenticare "Basket case" dei Green Day rifatta da Mino Reitano? Mino, Mino... Ti ho voluto bene, mi eri davvero simpatico, ma le prese per il culo non sono funghi, non vanno cercate.
E certo non fa bene a Vasco Rossi andare a cercarsi rogne con la cover di "Creep" dei Radiohead, che nulla aggiunge all'originale, se non una smorfia del già brutto Thom Yorke. Altri tempi quelli in cui da un pezzo sconociuto nasceva la trascinante "Gli spari sopra".
Idem con patate bruciate per il suo figlioccio Simone che, prima di sparire dai radar, aveva avuto la geniale pensata di rifare "Don't Cry" dei Guns n' Roses. Inutile dire che, a dispetto del titolo, Simone faccia venir da piangere.
Sul gradino più alto del podio, però, svetta il romanaccio per eccellenza della musica italiana. Sto parlando di Antonello Venditti, che ho antipatico a prescindere a causa di tutte le battute subite negli anni a causa del nome in comune. La fantasia della gente riesce a partorire solo questo...
Venditti - reso un pelo, ma giusto un pelo, più simpatico dall'imitazione da applausi di Guzzanti - coverizzò "Bitter fruit" di Little Steven, pensando bene di chiamarla "Prendilo tu questo frutto amaro". A parte il deprimente doppio senso da Bar Sport, si capisce già dai versi iniziali - "E' una questione politica, 'na grande presa per culo..." - che il frutto amaro dobbiamo mangiarcelo noi. Quando poi la burinaggine romana sfuma nell'inglese dei continui "Oh Yeah!" allora siamo davvero arrivati alla frutta, amara.
Meglio rifarci la bocca con una grande cover. Si, fare meglio di John Lennon è difficile ma i Roxy Music ci sono riusciti. Eccovi una delle perle degli anni '80. Buon ascolto!
Nessun commento:
Posta un commento