6 settembre 2013

FRANCESCO RENGA, UN ARCOBALENO IN BIANCO E NERO




Copenaghen è un quadro di M. C. Escher, un gioco di prospettive che ingannano continuamente occhi ed emozioni. La capitale danese spennella istantanee che pulsano, facendoti incontrare per strada il bianco e il nero con uguale semplicità: ad una quindicenne in preda alle convulsioni dopo aver preso chissà quale sostanza psicotropa fanno da contraltare persone dalla cordialità e dall'allegria contagiose.
Lungo lo Stroget, erano fin troppi i ragazzi che barcollavano - l'alcool la sera scorre a fiumi nemmeno fossimo nella Camden londinese - e francamente mi aspettavo ben altra civiltà, riguardo la pulizia del luogo pubblico e del rispetto per l'ambiente. Eppure di giorno mostrano una maschera ben diversa, piena di solarità e di apertura mentale verso gli altri che raramente ho trovato in Italia.
Per strada, se hai la cartina aperta per capire come muoverti, sono loro a fermarti per chiederti se hai bisogno di una mano. Ti sorridono a ottantordici denti se li lasci passare per primi, in Italia tirano dritto dandoti una spallata. E' curioso come pur essendo un paese freddo, il loro animo infonda grande calore.
Durante i pochi giorni passati lì, abbiamo incrociato i festeggiamenti del Gay Pride e la città si è tinta ancor di più di allegria. Certo, darei un braccio per capire come faceva quel carro pieno di ballerini a scatenarsi sulle note di "Finchè la barca va" di Orietta Berti. L'ennesimo contrasto di una città che pulsa bianchi e neri ma anche una moltitudine di colori.

               I RIFLESSI IN CHIAROSCURO DI UN TALENTO PURISSIMO               

Ci sono artisti che nel Grand Hotel della musica dovrebbero avere il parcheggio riservato e una suite con poltrone in pelle umana e cameriere in topless. Eppure sbagliano strada ad una delle mille rotonde del loro cammino e finiscono per risiedere troppo a lungo in un modesto alberghetto a conduzione familiare con le macchie di umido e le lenzuola giallastre.
Non mi piace ripetermi, le parole sono attimi da non sprecare, quindi dirò solo che i Timoria sono il mio gruppo preferito di sempre, del resto il blog nasce con un articolo a loro dedicato. Vien da sè l'affetto che provo per Francesco Renga, una delle migliori voci del panorama nazionale.
Voi direte, che "c'azzecca" con Copenaghen e i fatti tuoi? C'azzecca perchè la sua carriera è stata un arcobaleno da televisione anni '50, un alternarsi di bianchi e neri continui e talvolta sporcati di rammarico.

Dopo essere stato allontanato dai Timoria causa scazzi e tradimenti, Renga ha iniziato la sua carriera solista nel 2000, con "Francesco Renga", 12 tracce prodotte da Fabrizio Barbacci, uno dei deus ex machina delle produzioni italiane (Ligabue, Negrita, Nannini). 
Ricordo quando mi fiondai al negozietto di Potenza:
"Scusate, è arrivato l'album nuovo di Francesco Renga?"
"Chi??" mi chiese arrossendo la corpulenta commessa.
Già, perchè la sua avventura partì in sordina e l'album non fece breccia. E' un lavoro che mi ha sempre intrigato molto, dentro ci sono canzoni dannatamente buone - penso a "Ancora di lei", "Affogo Baby" e "Favole" - ma anche interventi trascurabili ("Guarda, guarda" e "Rimani qui"). Lo stesso Renga lo ha definito così:

"Era un disco molto frammentario. E anche il modus operandi era stato diverso. Venivo da una separazione dolorosissima con una band che mi aveva ospitato per tredici anni. La visione del mio lavoro era ancora da band. Il disco era nato tutto in cantina con degli amici musicisti. Abbiamo detto "Ok, facciamo questi provini, poi portiamoli in studio e mettiamoli in bella copia. Questo era stato l'atteggiamento." F. Renga - Intervista a Tribe

Eppure il campione sa sempre quando sfoggiare il colpo di coda, prendere la palla e piazzarla nell'angolino. Renga era ad un bivio e non sbagliò. Presentatosi con umiltà a Sanremo tra i Nuove Proposte - lui che era un veterano - non solo mise la palla nell'angolino ma lo fece con una splendida rovesciata: "Raccontami" è una canzone meravigliosa, una ballatona d'amore che riuscì a mostrare di che pasta fosse fatto.
Nonostante il modesto sesto posto, la canzone arrivò alla gente e lanciò la sua carriera come meritava. Finalmente si era liberato dei fantasmi aprendo molti file nascosti del suo animo. Due parole le merita anche "L'ultima Poesia", altro brano aggiunto post-Sanremo che è un tramonto di settembre sulla spiaggia, uno di quelli che ti toglie il fiato.
Il successo di "Raccontami" spinse Baudo a invitarlo come Big l'anno dopo al Festival. Renga fece il bis con un'altra ballata, la suadente "Tracce di te", che erroneamente tutti pensano fosse dedicata a sua madre.

"E' una canzone che ho scritto per me, non è dedicata a mia madre. Anzi, se dovessi pensare ad una dedica probabilmente sarebbe a Luigi Tenco, che tanti anni fa si toglieva la vita a Sanremo. E' un'apparizione interiore, il tentativo di recuperare un rapporto che non c'è stato. Avevo meno di vent'anni quando mia madre è morta. Per scrivere quel testo e mettere la parola "madre" ho faticato parecchio, non ne parlavo da tanti anni. L'unico modo per esorcizzare il mio dolore era scrivere una canzone."

"Tracce" è un album più maturo, incanalato sui binari sicuri del pop da classifica. Grazie a "Sto già bene" e "Dove il mondo non c'è più", le vendite sono ottime e la carriera prende il vento in poppa. Continuo a godere di "Alba", ballata che mi abbraccia ogni volta che l'ascolto e, sebbene il rock dei Timoria sia un lontano ricordo, il cd è più che godibile.
Ancora più godibile è "Camere con vista" in cui il vocalist nato ad Udine trova la sua consacrazione. Il pop si sporca con piacere di rock e il disco ha pochissime macchie. "Comete", "Solo" e "Anna (Aspettavo te) sono canzoni che reggono brillantemente gli ascolti e gli anni.
Renga convince le platee estive con "Ci sarai", altro lento che guizza dentro con la semplicità dei giusti, per poi piazzare il destro vincente con "Angelo", che sbanca Sanremo con ampio merito. Difficilmente potrò scordare quel momento: Bonolis, da presentatore consumato, si prese alcuni attimi per proclamare il vincitore e, in quel mentre, tutto il pubblico chiamò a gran voce il suo nome. Da brividi.

E' qui che però qualcosa va storto e non ho mai capito perchè. E forse nemmeno lui. L'album della svolta definitiva sarebbe dovuto essere "Ferro e Cartone" eppure l'album non replica i fasti dei precedenti. E' il primo vero passo falso della sua carriera, non lo definirei neppure frammentario: ha cercato di fare un disco della maturità non riuscendoci per nulla.
Le premesse erano buone - Corrado Rustici alla consolle avrebbe dovuto far dormire sonni tranquilli - eppure si perse la direzione. Nelle intenzioni, Renga aveva parlato di un lavoro dalle due facce, una più rock - il ferro - e una più intima, di cartone appunto. Nella realtà, l'album è molto pesante all'ascolto, pieno di lenti dallo scarso appeal e senza ferro: il rock l'avrà lasciato per strada....

E' qui che Renga sbanda nuovamente, sembra un pugile in balia dell'avversario. Si presenta senza un disco pronto al Sanremo 2009, su invito di Bonolis che spera in una nuova "Angelo" ma "Uomo senza età" non colpisce, è sabbia presa in carico dalla tramontana.
Non capisco perchè mollare il piacevole pop-rock che l'aveva portato in alto per battere i territori della lirica con "Orchestraevoce", l'album di cover releasato nel 2010. Intendiamoci, non ne sto discutendo la qualità - è ovvio che la sua voce su alcuni dei migliori pezzi italiani di sempre calza come un guanto - ma mi ribello alle intenzioni. Mi è parso tanto una mossa commerciale per lanciare Renga oltreoceano, una strada "bocelliana" per allargare la sua platea. E a me le mosse commerciali restano sullo stomaco come i peperoni.
L'album è andato bene - circa 100mila copie vendute sono un ottimo risultato in questi tempi di magra - e cosa fa, svolta nuovamente per tornare al pop-rock con "Un giorno bellissimo". Per me è un ottimo lavoro, con un equilibrio e una grazia innati ma continuo a non capire questa schizofrenia musicale che certamente non giova alla sua carriera.
Lo scorso anno è tornato a Sanremo con una buona canzone, "La tua bellezza", lanciando "Fermoimmagine", il suo primo "Best of" (che contiene anche la meravigliosa "Senza sorridere"), ma la via maestra s'è persa.

A detta dei rumours, adesso sarebbe in preparazione un album per il mercato sudamericano. Ora, prima fai pop-rock, poi cerchi una via più intima e tenorile per il mercato americano, ora spingi per provare a 45anni a sfondare nel mercato latino. Ma chi gestisce la sua carriera si fa di oppiacei? No, così, per sapere...
Ecco, Francesco Renga è la mia Copenaghen musicale, un arcobaleno di colori che talvolta torna in bianco e nero regalandomi qualche rammarico. Nessuno ha la sua voce e il talento non manca, perchè seguire strade dettate dal mero business? Anni fa aveva aperto dei file nascosti della sua anima con "Raccontami", sarebbe ora che tornasse a quella purezza, a quello splendido colore tutto suo prima di perdersi in un grigio comune, un grigio privo di emozioni.

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