4 settembre 2013

GLI INCIDENTI NELLA MUSICA



Ho avuto una vita fortunata, non di quelle caramellose alla Dawson's Creek ma di sicuro piacevole, sarebbe sciocco negarlo. E tirarsela adducendo gli adolescenziali "non mi capisce nessuno" sarebbe irrispettoso verso chi davvero ha subito schiaffi e calci dalla vita.
In famiglia godono di ottima salute - oplà, palpatina scaramantica - e di grossi drammi non ne ho mai subiti. Arriveranno, e faranno male, ma non godersi questa quiete renderebbe inutile l'arrivo della tempesta, dentro sarebbe già grigio bufera.
I flash che mi creano subito sudori freddi li ricordo molto bene. Avrò avuto circa dieci anni, e come ogni domenica stavamo andando in campagna dai nonni.
Mancavano pochi chilometri e, dopo una curva, mio padre rallentò bruscamente. Io, sovrappensiero, alzai lo sguardo e vidi la Jetta grigia di mio zio distrutta, la polizia e un capannello di gente intorno. Panico.
Scendemmo in fretta - secondi che durarono mesi - e ci avvicinammo col cuore in gola. Il frontale era stato brutto ma per fortuna stavano tutti bene. Quella che ne uscì peggio fu mia nonna, non ricordo da dove stavano tornando e c'era anche lei a bordo. Prese una brutta botta al braccio ma, oltre a quello, solo graffi e paura. Quella sera, riuniti vicino al caminetto, non c'era musica nell'aria, solo quel retrogusto amaro di esserci andati molto, troppo, vicini.

             DESTINI UGUALI E DIVERSI - RINO GAETANO E PAOLA TURCI

Sipario. Di ritorno dal progetto in Qatar, ero sereno: erano stati giorni da incorniciare e avevo il morale alle stelle. Dalle stelle cadde a terra, vedendo la nostra Fiat Croma completamente distrutta. Accartocciata come una fisarmonica sembrava un'opera postmoderna.
Mia madre e mia sorella avevano avuto un brutto incidente di ritorno dal mare e avevano preferito non dirmi nulla per non farmi preoccupare: per fortuna ne erano uscite con danni lievi. Non fu divertente immaginare di trovarsi a migliaia di chilometri mentre stai perdendo la tua famiglia.
E' quello che infatti successe a Silvano, un mio collega proprio durante quel lavoro in Qatar. Lo chiamarono alle cinque di pomeriggio per dirgli che suo figlio era caduto in moto ed era in coma.
Lo andai a salutare prima della veloce partenza e cominciò a piangere sulla mia spalla. Non sapevo cosa dire. L'ho chiamato lo scorso Natale, il figlio si è ripreso e lui, da buon toscanaccio, è tornato a sorridere come sempre. Ringrazio Dio di non essermi trovato al suo posto, quel volo di ritorno sarà stato infinito.

"Il giorno prima il mio manager mi aveva chiamato alle tre di notte per dirmi che aveva sentito dire da un tipo che avevo avuto un incidente. 'Ma va' va'' gli avevo risposto..."
Paola Turci - Intervista a Vanity Fair

Paola Turci è una rosa gialla orlata di rosso. Sempre in bilico tra sfumature rock e riflessi di canzone d'autore, l'ho sempre seguita con affetto, preferendola a tante altre pseudo-rocker italiane.
Quando cantava la struggente "Bambini" o l'allegra "Stringimi stringiamoci" ero solo un ragazzino;  l'ammiravo con occhi pieni di sole e quello che le accadde mi lasciò piuttosto scosso.
Era il 15 agosto del 1993 quando, sulla famigerata Salerno-Reggio Calabria, ebbe un orribile incidente. L'auto, dopo aver sbattuto contro il guard-rail, si cappottò percorrendo poi un altro centinaio di metri. Recuperata dalle lamiere, occorsero venti punti per ricucirla e fu un miracolo se non perse l'occhio destro.
Ci sono volute ben ventitrè operazioni al viso per restituirle ciò che aveva perduto. Ritorno con nostalgia a quegli anni; oltre ad essere suo grande fan, ero patito di Paolino Canè, star del tennis nostrano e suo fidanzato dell'epoca: due beniamini insieme, il massimo. E ricordo anche il suo ritorno sulle scene con i capelli a coprire la parte destra del volto. Posso solo immaginare la violenza e il pesante disagio interiore del doversi mostrare al pubblico con una guancia stuprata dalla sorte. L'aver combattuto e il non essersi nascosta a mò di reclusa la dice lunga sulle palle che ha, tanto di cappello.
Oggi quasi nessuno ricorda quell'episodio e in fondo è giusto così, è la musica a dover parlare e quella è rimasta sempre splendida.
In un'intervista disse che, riguardo alla scrittura, la parte iniziale della sua carriera è stato il suo "periodo illuminato". Non so se lo spartiacque sia stato proprio l'incidente, che certamente avrà lasciato strascichi a livello psicologico, ma non sono daccordo: cara Paola, hai continuato a regalarci canzoni illuminate e lo fai anche oggi, attraversandoci il cuore.

"Quel giorno Renzo uscì, andò lungo quella strada 
e una Ferrari contro lui si schiantò.
Il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì
verso un ospedale che lo curasse per guarir."

Sono versi tratti da "La ballata di Renzo", una delle tante splendide canzoni di Rino Gaetano. Versi profetici perchè il Renzo cantato muore a seguito di un incidente stradale dopo esser stato rifiutato da svariati ospedali, proprio quanto capitò al cantastorie calabrese circa dieci anni dopo averla scritta.
Il 2 giugno del 1981 Gaetano sta tornando a casa dopo una serata passata nei locali. E' notte inoltrata, quasi le tre del mattino, quando la sua Volvo sbanda paurosamente, invadendo la carreggiata opposta della Nomentana.
Il tir che soggiunge suona il clacson ma non riesce ad evitare lo schianto: l'auto del cantautore resta distrutta.
All'inizio di quell'anno, Gaetano aveva avuto un altro incidente, uscendone miracolosamente illeso. La seconda volta non gli va altrettanto bene purtroppo.
All'arrivo in ospedale, è già in coma. I problemi sorgono perchè il Policlinico non ha un reparto di traumatologia cranica e per lui non possono fare nulla. Vengono contattati altri cinque nosocomi ospedalieri ma nessuno ha posti disponibili. Gaetano ci lascia alle sei di mattina, senza che nessuno riesca a fare nulla per lui e diventando il Renzo della sua canzone. Uno scherzo atroce del destino.
Quando un artista è avanti come Rino riesce persino a diventare profetico. Ci manca molto. Manca quel suo essere impegnato ed ironico allo stesso tempo, il suo essere surreale e il sorriso di bimbo, ci manca quella scanzonata capacità di prendere e prendersi in giro.
In quest'epoca musicale fatta di piccoli artisti buoni solo per il business e le tv, manca proprio qualcuno che li prenda tutti in giro, togliendosi il cilindro e facendoli una sonora pernacchia. Rino avrebbe fatto così, del resto lui era il fratello figlio unico che tutti avremmo voluto e da quando se n'è andato il cielo non è più così blu.


Ps. A fine luglio, alcuni meschini hanno profanato la tomba di Rino Gaetano al cimitero del Verano di Roma. Hanno persino rubato la chitarra in marmo attaccata alla lapide, riproduzione dell'ukulele che usava il cantautore e fatta preparare dalla sorella tanti anni fa. Che dire, certa gente riesce a spegnere ogni sorriso e anche la musica più bella.

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