23 gennaio 2014

INTERVISTA AD ENRICO RUGGERI




Enrico Ruggeri non è uno come gli altri, è un artista libero, ma libero nel senso più intimo della parola, e per questo mi piace. E mi piace perchè sa ammettere di divertirsi più al campetto con gli amici e un pallone che con la musica, proprio come noi che appena vediamo dei ragazzini e due zaini come porte vorremmo correre a giocare con loro.
Ruggeri è un numero 10 come non ce ne sono più. Già, perchè i fantasisti nel calcio sono sempre di meno, messi in panchina per far posto all'ennesimo centrocampista muscolare tutto corsa e zero tecnica. Lui no, vive e mai sopravvive, fregandosene di allenatori, avversari ed età. Continua a insegnare musica col tocco del campione, quello che ti mette la punizione all'incrocio al 92esimo e poi corre a prendersi gli applausi. Il Rouge è cosi, è rimasto lo sfrontato punk dalla montatura bianca e con l'animo da Peter Pan, e riesce a divertirsi ancora. Vorrebbe che la partita non finisse. Per quelli come lui, ne sono certo, l'arbitro la fine non la fischierà mai.

                                        IL NUMERO 10 DELLA MUSICA

Sei cresciuto in un ambiente femminile, ovattato. Che musica si ascoltava tra le mura domestiche? Come nacque la tua voglia di stare su un palco?

Si ascoltava molta musica classica. La voglia è esplosa nelle cantine dei primi anni '70. Poi andai a vedere Emerson, Lake & Palmer... 

Perchè il punk? Da cosa arrivò - a livello personale e ambientale - la spinta a ribellarsi?

Il punk fu la vera grande scintilla. Cambiò la storia della musica nel mondo, l'energia poteva sostituirsi alla tecnica.

Chi assapora il successo e non riesce a rimanere ai vertici spesso diventa un disadattato. Idem per tanti pseudo-artisti usciti dai talent. Se non ce l'avessi fatta, pensi che l'avresti vissuta male? E nel caso, tra le "quante vite avrei voluto", quale avresti preferito vivere?

L'avrei vissuta con molta difficoltà. Ma il fatto di non avere da ragazzo un piano B fu la mia fortuna, non avevo scelta. 

Hai scritto per grandi voci della musica italiana, ma non abbondano i duetti, nè le collaborazioni con altri grandi artisti. Perchè?

Perchè non amo compiacere le persone per ingraziarmele, e perchè molti "grandi artisti" agiscono solo per tornaconto personale. 

Momento di autocritica: l'errore più grande della tua carriera?

Sicuramente non aver frequentato salotti e segreterie di partiti di sinistra... 

Sei un grande appassionato di calcio e continui a giocare con regolarità. E' più il pallone, la musica o l'amore a far rimanere degli eterni "Peter Pan"?

Tutte e tre le cose. Ma il calcio è quella più imprevedibile e irrazionale. 

In un'intervista vecchia di vent'anni, ammettevi di non riuscire a sopportare una situazione stagnante, e di vivere meglio nel girovagare del tour. Anche oggi non riesci a stare fermo, correndo di continuo verso l'avventura successiva. Ti sei mai chiesto dove nasce questa inquietudine, questa molle che ti spinge sempre altrove?

L'inquietudine nasce dalla paura di avere più idee del tempo di cui dispongo. 

La musica e il cinema stanno sempre più muovendosi verso la deriva commerciale, con pochi picchi fuori dai soliti confini. Lo sport poi - penso al calcio e al ciclismo - hanno perso quel sapore poetico d'altri tempi. In cosa ritrovi la poesia se ti guardi intorno oggi?

Bisogna cercare la poesia osservando i propri simili. 

Una tua canzone in cui credevi molto e che non è stata capita o apprezzata come speravi?

Avendo fatto 31 album ne conto a decine. Ma chi mi apprezza veramente le conosce tutte. 

Marotta e Mondolfo hanno ispirato il panorama de "Il mare d'inverno". Hai cantato Napoli e i suoi colori contrastanti. Eppure nessuna canzone racconta la tua Milano: è così priva di bellezza? Come la vivi? C'è spazio per un suo Rinascimento? In fondo anche Sarajevo ha avuto la sua primavera...

Milano è l'unica città in cui vivrei. Non le ho dedicato canzoni ma molti personaggi descritti arrivano dall'osservazione e dall'amore verso le anime che la abitano. 

Hai spesso cantato di uomini ai margini, di sconfitte piccole e grandi, di sudore e di fango. Penso a "Inevitabilmente", a "Senza terra" o "L'altra madre", ma anche la stessa "Frankenstein" è il dramma della follia umana. Cosa c'è di così epico nella sconfitta? Perchè, in un mondo basato sulla vittoria, troviamo eroico chi non ce la fa? E perchè queste figure di affascinano tanto?

Perchè la storia è sempre scritta dai vincitori. Io amo occuparmi dello spettacolo di chi non ha avuto fortuna. E sto con i deboli e le minoranze.

Vasco ha detto: "Molti artisti hanno la fortuna di scrivere canzoni belle tutta la vita, però non hanno la fortuna di scrivere la canzone della vita... Io con "Vita spericolata" ho avuto quella fortuna, potevo concluderla lì." Hai mai avuto la percezione di aver toccato il punto più alto a livello di composizione?

Il punto più alto è sicuramente "Frankenstein". Ma è un lavoro che non può essere capito subito da tutti: l'arte vera non ha fretta. 

Hai fan fedeli che hanno assecondato e goduto dei tuoi vagabondaggi tra i vari generi musicali, eppure le prime critiche aspre sono piovute quando hai iniziato a fare televisione. Perchè questo?

Perchè molti fan vorrebbero inconsciamente che la persona che ammirano restasse di loro proprietà, quindi di scarso successo popolare. Da ragazzo ero così anch'io. 

"Frankenstein" è un disco bellissimo, fuori dal tempo in ogni sua sfumatura (qui trovate la recensione). Cosa ti ha affascinato in una storia così drammatica?

Il conflitto tra scienza e filosofia, tra ambizione e delirio. La tutela di chi la pensa diversamente dalle maggioranze. La trasmigrazione tra amore e odio. 

Dischi, romanzi, colonne sonore, televisione... Cosa manca alla tua carriera? Qual è l'ultima follia che vorresti davvero compiere?

La vera follia è stata resistere ai vertici senza amicizie e protezioni politiche, facendo una musica obiettivamente non facile e non per tutti. Quindi la vera follia sarà continuare su questa strada.

Ritratto di Enrico Ruggeri - Antonio Chimenti

Il "Frankenstein 2.0 tour" di Enrico Ruggeri riparte il prossimo 20 marzo. Ecco le prime date:
- 20 marzo: Crema - Teatro San Domenico
- 23 marzo: Trento - Auditorium Santa Chiara
- 24 marzo: Milano - Teatro Nuovo
- 3 aprile: Genova - Teatro Politeama
- 4 aprile: Torino - Teatro Colosseo
- 5 aprile: Trieste - Teatro Stabile

Grazie a Enrico Ruggeri e Stefania Alati per l'infinita disponibilità dimostrata.
Intervista a cura di Antonello Vanzelli, Antonio Chimenti e Piero Chimenti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grande Rouge!
Ci si vede a
Crema
Milano
Genova
Torino

A presto