I ricordi non tendono ad infinito, alcuni album si. Talvolta però ricordi e musica si fondono in un unico mare di male e miele e le sue onde rimangono lì a bagnarti i piedi. Ho ben piantato in testa il lento volteggiare degli Afterhours: era Videomusic, era il video di "Voglio una pelle splendida", era un'altra epoca. Quell'epoca è adesso, visto che Manuel Agnelli e soci hanno festeggiato il ventennale dell'album con tre anni d'anticipo. Il rock è anche questo.
Arrivo alla Fnac di via Torino con tre quarti d'ora d'anticipo ma non basta. Compro la nuova edizione di "Hai paura del buio?" e in fila davanti a me ho cinque persone con in mano l'album. Inizio a preoccuparmi del casino che ci sarà e appena arrivo al secondo piano, vedo una sessantina di persone già in fremente attesa. Qualcuno avrà dormito qua stanotte.
Mi guardo in giro con curiosità e noto molti ragazzi, sono uno dei più vecchi. Agnelli è fuori dai talent, fuori dal circuito mainstream, e questa affluenza giovanile è segno inconfutabile di come la band abbia seminato e continui a seminare con cura i propri semi (germi?) musicali. In Italia c'è sempre tanta fame di rock, e il loro è roba prelibata.
HAI PAURA DEL BUIO? - AFTERHOURS - MILANO 11.03.2014
La folla aumenta, mentre Manuel Agnelli termina un breve soundcheck. Noi sbirciamo dentro, Giorgio Prette sbircia fuori, contento di tanto calore.
Entriamo e in breve le luci si spengono. Il palco è vuoto, ma si colma del bianco e nero e delle parole di un video di presentazione del nuovo lavoro. Il leader ne spiega la genesi, raccontando degli illustri duetti con Greg Dulli, amico decennale del combo milanese che ha rivisitato "Male di miele", e con Joan As Policewoman. E' sincero il suo sentimento di orgoglio nell'averli visti prestarsi a cantare nella nostra lingua, con grande disponibilità; e si sorride scorgendo gli appunti scritti a mano di Dulli, in improbabile anglo-italiano storpiato, necessario per raggiungere la migliore pronuncia possibile.
Le luci prendono vita e la band sale sul palco, c'è febbre nell'aria. L'atmosfera rimane leggera, quando raccontano i retroscena riguardo la doppia versione di "Male di miele", quella degli Afghan Wighs di Greg Dulli appunto, e quella di Piero Pelù (inserita come special track).
"Piero, Male di Miele è stata già fatta. Perchè non ne scegli un'altra?"
"A me quella piace!", filologia secca. E così è stato.
E' Giorgio Prette a prendere subito la parola, raccontando - in modo conciso - che "Hai paura del buio?" nacque in un misto di sfiga, rabbia e voglia di dimostrare chi erano. "E' un disco che ha avuto una genesi molto ampia, con una lavorazione di un anno e mezzo. Nessuno voleva farci firmare un contratto e questo fu uno dei segreti di quel disco. Accumulavamo solo debiti con gli studi di registrazione, però come spesso accade nelle situazioni disperate, o ti impicchi oppure te ne fotti e dai il meglio di te. E' stata la prima volta che abbiamo sperimentato una totale libertà in quello che stavamo facendo."
Il cerchio con i miei ricordi si chiude quando Prette racconta di come quella fosse davvero un'altra epoca, facendo riferimento proprio a Videomusic, che cominciò a passare i loro video, dandogli una grossa e quasi insperata visibilità.
La nuova versione con le canzoni rifatte dagli ospiti (dai Negramaro a Eugenio Finardi passando per Samuel Romano ed i Ministri, i loro figliocci) suona ovviamente poco omogeneo, ma Manuel Agnelli spiega come la versione originale avesse lo stesso Dna, con pezzi dalla chimica differente - e voluta così già in origine.
"E' chiaro che il nostro intento era quello di permettere agli artisti che partecipavano di riappropriarsi dei nostri pezzi, di farli loro, ed era un modo per vedere cosa ne veniva fuori. Infatti a me non piacciono i gruppi di cover che fanno le cover uguali all'originale: non ha senso, sono falliti in partenza! Alla fine della fiera, il senso di una cover è quello di riportare in vita una canzone che ha già espletato il proprio corso e l'unico modo per farlo per un artista è farla propria, che poi piaccia o non piaccia è un altro discorso, questo è legittimo".
"Vedere che artisti stranieri importanti si siano messi in gioco cantando in italiano ci deve far onore. Noi non siamo i Rolling Stones e questi sono personaggi che hanno un certo tipo di caratura. Il loro è stato un gesto di enorme fiducia ma anche di enorme riconoscimento." e il discorso non fa una grinza, stiamo parlando davvero di musicisti di enorme spessore.
La data zero è stata al Vox, storico locale di Nonantola, con il disco è suonato in ordine perfetto, senza soluzione di continuità. E' Rodrigo D'erasmo a raccontare le sfumature e le curve della nuova esperienza:
"Io non c'ero all'epoca. E' molto emozionante suonarlo tutto in questo modo, come è stato emozionante vedere la loro emozione leggermente differente. L'abbiamo provata insieme tante altre volte per le scalette, ma sul palco è stata un'altra cosa. Perchè c'è una costruzione molto più vicina allo spettacolo teatrale come concezione, sia dal punto di vista narrativo che estetico - parlo delle luci, la cui costruzione è stata molto curata, e delle atmosfere, perchè ogni brano ha una sua atmosfera. Per noi è come fare un viaggio e non mettere un pezzo in fila all'altro. Credo che la differenza sostanziale possa essere questa."
Interviene Xabier Iriondo - "Abbiamo cercato di ricostruire filologicamente il percorso sonoro del disco, quindi io e Manuel abbiamo rispolverato la strumentazione che usavamo diciassette anni fa, oltre che gli stessi costumi di allora.", scelta un pò naif ma che si adatta bene alla concettualità teatrale a cui già accennato.
Il discorso si sposta sul passaggio dall'inglese degli esordi alla lingua italiana. Ovviamente è Agnelli a chiarire che: "fu una forzatura. Io artisticamente non sentivo assolutamente il nostro linguaggio. Sulla scena milanese c'erano però parecchi gruppi, c'era un tipo di atmosfera differente, ci si scambiava un sacco di esperienze. Cantavano in italiano e avevano un tipo di interesse intorno e un riscontro che era galvanizzante, non per il numero di persone ai loro concerti ma per l'intensità.
E quando noi andavamo a vederli effettivamente era emozionante. Capivi parola per parola, ti sentivi parte di qualcosa. Chiaramente questa cosa ci conduceva in quella direzione ma a me non interessava. Loro insistettero affinchè io ci provassi e l'occasione fu la cover di Rino Gaetano "Mio fratello è figlio unico" nel suo tributo di Arezzo Wave. Per la prima volta in vita mia iniziai ad usare le cose che avevo letto su un libro regalatomi che parlava del "cut up".
Insomma, provai su "Mio fratello è figlio unico" e tutti - probabilmente in modo forzato perchè volevano che io cantassi in italiano - mi fecero i complimenti ("Bellissimo, bellissimo, dovresti cantare tutti i pezzi cosi..."). Non so se erano sinceri o no però il risultato è che mi misi a scrivere in italiano. Devo dire che il risultato a quel punto fu quello che tutti si aspettavano, soprattutto a livello di potenza della comunicazione, cioè le cose che riuscivamo a dire al pubblico e l'emozione che riuscivamo ad avere indietro era enorme e imparagonabile a prima. Riuscivamo a emozionarci e a emozionare in maniera molto più potente. Quello è stato un passaggio assolutamente epocale."
Dopo aver dialogato brevemente col pubblico, finalmente le parole lasciano spazio alla musica, il momento più atteso. Xabier Iriondo scivola via, lasciando il proscenio ai suoi compagni d'avventura che partono - da consumati showman - con la bestemmia di "1.9.9.6". Il pubblico si scioglie completamente quando arriva "Male di miele". Non manca la delicata oscenità di "Pelle", prima di congedarsi con una "Padania" intima e soffusa. E' la prima volta che assistevo ad un loro set dal vivo e la magia delle loro atmosfere acustiche è stata più ficcante di un qualsiasi live elettrico. Mi allontano dopo essermi fatto autografare il nuovo album, con addosso il sorriso solare di Manuel. Il male è andato via, c'è solo miele e oltre ai piedi bagna anche l'anima.
2 commenti:
Appena ricomprato nella nuova versione col disco aggiunto (di cui francamente ho un pò di paura). Disco fondamentale per il rock (alternativo) italiano, che contiene, a mio avviso, una delle canzoni d'amore più belle mai scritte: Pelle.
Album imperdibile, assolutamente. Il secondo cd vive di alti e bassi ma è godibile, grazie ad alcune rivisitazioni d'alto livello. Penso a Mark Lanegan o ai Bachi da Pietra in primis. Alcune sono trascurabili ma nel complesso strappa un'ampia sufficienza.
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