19 maggio 2014

GUARDA CHE NON SONO IO





Quel giorno a casa di Antonio, Alessandro prese la sua vecchia raccolta di Francesco De Gregori e, con il sorriso di chi la sa lunga, disse: "Voglio farvi ascoltare una cosa". Partirono le prime note di "La leva calcistica della classe '68" e il mondo passò da un primo piano ad un panorama incantevole, che mi portò altrove.
Anni dopo. Esame di Geologia applicata, quel borioso panzone mi aveva bocciato per la terza volta e io vagavo come uno zombie di Romero. Rocco mi vide abbattuto e mi diede un passaggio a casa. Alla radio partì "Il cuoco di Salò" e bastò a star meglio, con quella tromba in lontananza.
Anni dopo ancora. Mi laureo e in poco tempo mi ritrovo catapultato tra Qatar e Dubai per lavoro. Quel primo weekend lì fu difficilissimo a livello emozionale. Accesi la tv e partì il video di "Cardiologia", con quell'elettrocardiogramma continuo. Fu come se un caro amico fosse venuto lì a tirarmi su, a dirmi "Sei vivo, il tuo cuore batte, goditela e vivitela sino all'ultima stilla".
Non ho mai visto un suo concerto, una delle gravi lacune del mio background musicale, ma quando ho letto che era ospite al Salone del Libro di Torino, ho capito che il cerchio col mio e col suo passato stava per chiudersi. Sono arrivato con un'ora di anticipo, solo per trovare un posto vicino al palco, per vedere i suoi occhi, per assaporarne i gesti, per sfiorare quell'amico che c'è sempre stato.

                          FRANCESCO DE GREGORI - TORINO 10.05.2014

L'Arena Bookstock straripa di fan, addetti ai lavori, fotografi e semplici curiosi attratti dall'avento. Il pubblico aspetta con trepidazione ed esplode quando il Principe entra in scena, elegante come sempre.
Ad accompagnarlo il navigato giornalista - e amico - Gabriele Ferraris, che rompe il ghiaccio:
"Francesco De Gregori è una di quelle persone meravigliose che regala libri. Mi ha molto colpito una cosa, è un piccolo fatto personale. Qualche tempo fa, Francesco è venuto a casa di mia mamma in campagna e io ho trovato delizioso il fatto che si sia presentato con un regalo - e questo dimostra che non è un Principe solo come soprannome - ma che questo regalo consistesse in due libri. Penso sia una cosa meravigliosa il regalare libri. Ti capita spesso di farlo?"
"Solo con le belle ragazze", risponde lui, regalandoci il primo di tanti momenti d'armonia.

Il clima è disteso, e sembrano davvero lontani i tempi in cui De Gregori veniva dipinto come artista scostante. Al contrario sembra divertito e diverte la platea, parlando degli argomenti più disparati. Si comincia, nemmeno a dirlo vista la location, dalla letteratura e da cosa consiglierebbe a chi si avvicina alla lettura:
"Io direi che, se volete andare sul sicuro, dovete andare sui classici, non soltanto Omero o Dante, evidententemente, o Shakespeare. Non è che li abbia letti tutti eh, non vi spaventate: su Shakespeare ho delle lacune enormi. I classici sono anche Mellville, Kafka; avvicinandoci ai nostri giorni sono Faulkner. Ho citato solo autori stranieri, ma insomma... Manzoni! Non deve fare paura Manzoni: "I Promessi Sposi" sono una lettura straordinaria, soprattutto se lo si legge usciti dalla scuola, magari dieci anni dopo che uno li ha dovuti studiare. Insomma, per non sbagliare andrei sul classico. 
Su quello che viene pubblicato oggi bisogna un po' viaggiare come il Titanic tra gli iceberg, perché a volte, entrando in una libreria, prima di arrivare a qualcosa di serio devi scavalcare molte cose che invece, secondo me, non sono serie. Ma tutto va detto, io sono uno sincero e lo dico, anche se davanti a tanti editori qua la cosa può sembrare impopolare. Insomma, partendo dai classici si arriva a saper nuotare in questo mare popolato di iceberg e di scogli e trovare libri bellissimi."

"Hai qualche libro di cui puoi dire: "Si, è stato quel libro che mi ha fatto venire in mente l'idea di scrivere quella determinata canzone?", e la domanda di Ferraris è la stessa che avrebbe fatto il sottoscritto.
"E' successo in maniera così ortopedica solo in un caso che io ricordi, un libro di poesie di Hans Magnus Enzensberger che si chiama "La fine del Titanic". Lo trovai in libreria nell'81 o nell'82 e mi fece una grande impressione, mi piacque moltissimo e mi venne di scrivere una canzone sul Titanic, che poi è diventato un disco che si chiama proprio così. In questo senso lì c'è stato un fortissimo contributo di una lettura direttamente sulla scrittura.
Ma in generale, a tutto quello che mi è capitato di leggere - da "I Promessi Sposi" a Dante in poi - è andato a finire inevitabilmente, in maniera misteriosa, sotterranea, inconsapevole, in tutto quello che ho messo nelle mie canzoni. Questo credo sia alla base di ogni produzione artistica: noi leggiamo, ascoltiamo, guardiamo e tutto questo poi viene misteriosamente rielaborato dentro di noi e finisce... Ma finisce anche nelle cartoline, nel messaggino, nella mail che tu mandi. Entra a far parte del tuo linguaggio, entra in ciò che sei e nella tua sensibilità e viene restituito ogni volta che tu parli e ti rivolgi agli altri, in qualsiasi forma, non solo quella artistica."


"Ma perchè uno come te non hai mai pensato o desiderato di scrivere un romanzo?"
"Perchè io sono abbastanza soddisfatto di quello che faccio, la mia vita è piena della musica e di musica, e non mi lascia tempo per altre cose.  (il pubblico applaude convinto, ndr.)   
Alcuni colleghi scrivono, come dici, ma ognuno è diverso. Certo, se avessi la voglia di scrivere un libro lo scriverei. So benissimo che un cantante che scrive un libro il mercato lo facilita. Se uno che è famoso per aver scritto "Buonanotte Fiorellino" poi scrive un romanzo, sicuramente viene accolto sui banchi delle librerie con entusiasmo. 
Senza minimamente togliere nulla a chi fra i miei colleghi ha fatto questo e in alcuni casi, ha fatto anche delle cose egregie... Per esempio penso a certi libri di Ligabue che mi sono piaciuti moltissimo. Hanno questa voglia, questa necessità di cambiare metodo di scrittura, e di passare dalla canzone al romanzo, al racconto. Io non ce l'ho mai avuta, sono un moderato buon lettore, quindi mi piace stare dall'altra parte della barricata. ne traggo molto godimento. 
E come agente creativo, mi piace molto continuare a mettere le mani sulla tastiera o sulla chitarra, e mettere insieme i versi o le parole di una cosa che viene consumata in pochi minuti. E' quello il mio mestiere e su quello che io mi confronto, su quello che io faccio errori e su quello penso di aver scritto delle cose significative. Non ho bisogno di andare a cercare altri mestieri."

Uno che ha scritto alcune delle pagine più emozionanti della nostra canzone potrebbe sbracare nell'autocompiacimento, nella presunzione. Invece il Principe mostra grande umiltà, quasi a portar rispetto allo scrivere, oltre che al suo pubblico. Poi il discorso si sposta proprio sulla musica.
"Non sto facendo concerti al momento perchè sto lavorando ad un nuovo disco che uscirà a Natale, ma prima di battere le mani - ehè, perchè c'è il trucco! (sorride, ndr.) - non è un disco di canzoni nuove. Non perchè non ne abbia scritte o non riesca più a scriverne, ma perchè mi va di tornare su molte mie canzoni vecchie e meno vecchie e di restituirle alla mia voce di oggi, al mio modo di pensare la musica di oggi, ai miei musicisti di oggi, quindi è un disco che è difficilissimo definire. Tutte le volte che devo descriverlo non mi viene in mente niente di meglio di dire "E' un disco di cover di me stesso" oppure "Sono io che canto le mie canzoni come se le avesse scritte un altro". Insomma, immaginatevi qualcosa di molto narcisistico, ma che - vi posso dire - ha un bel suono, un bel suono per le mie orecchie e spero domani anche per le vostre. Ma il fatto che abbia un bel suono per le mie orecchie è l'unica condizione necessaria e sufficiente per cui uno che fa il mio mestiere entri in una sala di registrazione. E' un qualcosa che mi sta piacendo, che mi sta coinvolgendo e che mi sta emozionando. In virtù di questa cosa, non vado in giro a suonare anche perché l'ho fatto per tanti anni di seguito, anche perché la gente poi si stufa e quindi bisogna farsi un pò desiderare e io mi faccio desiderare."


L'attenzione devia sul fatto che a differenza di altri ambiti, la canzone lascia spazio a nuovi arrangiamenti, a nuove soluzioni sonore, cosa complicata se rapportata ad un libro o ad un film e questo - dice il cantautore - è un privilegio di chi fa questo mestiere. Il giornalista fa notare però che alcune canzoni entrano talmente nell'immaginario collettivo che il musicista ne perde la proprietà, la paternità della propria opera e non sempre il pubblico accetta che una canzone venga stravolta o modificata rispetto alla versione originale. De Gregori al solito è lucido e puntuale:
"La canzone è un qualcosa di popolare, e proprio per far capire come le canzoni siano vive e viventi, vi cito una canzone popolare, forse la più conosciuta in Italia, che è "Bella Ciao". E' una canzone che ha varie versioni, c'è una versione resistenziale e una versione delle mondine. Il che vuol dire che la canzone cambia, si rinnova a seconda del momento storico, delle voci, di chi la canta. Un conto è se la cantano i partigiani, un conto è se la cantano le mondine. 
E così certe mie canzoni, di cui io rivendico la paternità fino in fondo, dopodichè io la condivido, non la paternità, ma la fruizione, la condivido con chi queste canzoni le ama. Ma non per questo smetto di esserne anch'io proprietario. Quindi, come ognuno di voi è libero di cantare una mia canzone fischiettandola senza magari rispettarne l'arrangiamento originale, così anche io dopo venticinque anni, o anche cinque, ma anche tre, prendo una mia canzone e me la faccio come mi pare. (applauso, ndr.)
Non è un ricatto, nessuno vi leva il disco che voi conservate sott'olio a casa, non ve lo vengo a sfilare, quello rimane lì. Ve ne dò solo un altro disponibile, non è che vi dico "Se non ve lo comprate non siamo più amici", saremo sempre amici, però lasciatemi fare il mio lavoro di artista, lasciate che io parli, lasciate che la mia lingua si muova, che le mie mani vadano sulla chitarra, sennò cosa faccio, scrivo libri?" e qui la platea ride di gusto con lui e gli applausi scrosciano.

Sul palco con il giornalista e il cantautore, ci sono anche Alessandro Arianti e Silvia Miglietti, rispettivamente il suo pianista e la sua editrice. Questa chiacchierata ha infatti lo scopo di presentare in anteprima un libro sulla vita dell'artista romano. Uscirà a settembre e verrà presentato ufficialmente il 20 luglio a "Collisioni". E' già disponibile in prevendita e l'editrice mostra la cianografica, ovvero la prova di stampa. 

"Fatto vedere così sembra una sòla, come diciamo noi a Roma, e invece no, dentro ci sono delle cose, c'è scritto qualcosa. Lo stiamo impaginando." scherza il diretto interessato, mentre Ferraris illustra le tante cose belle che conterrà, ovvero le foto dello stesso Arianti e della moglie di De Gregori (presente - ed emozionatissima - in prima fila) oltre ad una inusuale intervista fattagli da Steve Della Casa, il noto critico cinematografico. 
"E' un libro che non esaurisce nulla. Dà e mantiene quello che promette, ma non promette di dire tutto quello che si potrebbe dire o immaginare sulla vita di uno che fa il mio mestiere. Ho detto una cosa per cui nessuno preordinerà più il libro..." scherza, fino a svelarne il titolo: "Guarda che non sono io" e il pubblico sorride, mentre l'ora vola via troppo in fretta.
Le canzoni entrano nell'immaginario colletivo, sono d'accordo, ma ancor di più ci entrano le persone. De Gregori è lì, a guardare tutti, ma non dall'alto: è al nostro fianco. E' questa la differenza tra chi si sente grande e chi è grande davvero, tra chi guarda i cuori altrui battere e chi invece li fa battere.

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