4 febbraio 2015

"FUORICAMPO" - THEGIORNALISTI




Ci sono particolari che delineano un'epoca forse ancor più delle persone. Puoi anche conoscere tutti i dialoghi di The Walking Dead, ma viversi X-Files, Twin Peaks, Mork e Mindy o Il principe di Bel Air è stata un'altra cosa. E poi ci sono i film, piccoli ritratti entrati nell'immaginario, con personaggi che non ci sono più, i Mario Brega, la Sora Lella e i Mario Carotenuto, caratteristi diventati protagonisti senza tempo. Se penso agli Anni '80 penso a loro, e soprattutto ai film di Carlo Verdone. Non c'erano gli smartphone o internet, erano anni di viaggi in Polonia, di concerti di Dalla, di bambacioni e burini, di finti preti e tragicomici contapalle. E quando trovi un album che ti fa rivivere quel mood e quelle atmosfere ti senti felice come quando rivedi "Borotalco" per l'ennesima volta e ridi ancora.

                                  QUANTA BELLEZZA di Antonello Vanzelli

"Fuoricampo" dei Thegiornalisti è stato uno dei dischi dell'anno, senza se e senza ma. Vive su un satellite a parte, ruotando attorno a tutto il resto e fregandosene altamente. Lo riascolto a penso a un ragazzino sbucato dagli Anni '80 che sorseggia un amaro Ramazzotti scuotendo la testa di fronte a questa generazione di hipster barbuti e fighetti coi risvoltini. Perché questo disco suona eighties più di un'orgia tra Sandy Marton e Gazebo, ma senza il suono gelido di quel mondo lì. E le orge hanno fatto la fortuna della band romana, visto che "Promiscuità" è detonata come una bomba al napalm. Le tette sudate, le mani sul culo... Il rosso che passa dalle labbra ai colletti, da un bicchiere di vetro a un bacio nel cesso... Tommaso Paradiso tratteggia flash del suo privato e di amplessi viscerali con un risvolto romantico, quello di chiacchierate su sigarette sino alle sette. E no, non è nel suo essere pruriginosa la sua forza o il cercare la frase a effetto per colpire, non è Levante che spara un "Che vita di merda": la canzone è forte, semplice quanto accattivante, un singolo esagerato che ti prende sin dal primo ascolto e ti fa venir voglia di riascoltarla subito.


C'è tanto dentro, dall'irriverenza al soffice e avvolgente romanticismo di "Per Lei" ("Per lei gli alberi mettono i fiori a ottobre e la città sa di campagna"), dalla citazione dell'intro - solo la intro - dei Coldplay di "In my place" che riverbera nella intensa "Insonnia" a istantanee passate che si mischiano ad un presente molto vivo e spesso desolante ("Mare Balotelli"), fatto di serie in streaming, di scommesse online e di aifon e aipad ("Balla").
Non è un disco perfetto, penso ad alcuni passaggi letterari di "Aspetto che" o al ritornello tirato via di "L'importanza del Cielo (Miyazaki)", e ogni tanto ammiccano tanto, troppo all'ascoltatore, ma restano minuzie nel mare caldo di un disco coi fiocchi. La vocalità spesso richiama Lucio Dalla, ma difficile vederci qualcosa di negativo in questo: gli stili di scrittura sono molto diversi e vanno a toccare corde lontane tra loro.

Qualcuno contesta loro un nome infelice, ma quando una band regala musica così, questi diventano dettagli per gente priva di argomenti. Canzoni come "Proteggi questo tuo ragazzo" - il pezzo migliore dell'album - ti scivola dentro, tirando fuori fragilità che sono anche tue. Non sopporto chi si nasconde in trucchetti letterari: il sole è in chi tira fuori le viscere e qui si sentono tutte, una per una.
"Da questa testa maledetta che si infila nella sabbia" canta Paradiso proprio in "Proteggi questo tuo ragazzo", ma poi curiosamente il disco si chiude con "Socializzare", in cui dice "La testa nella sabbia falla mettere agli struzzi", e allora capisci che forse sta cantando anche per sè, per chiudere il cerchio, non solo il disco, ed esorcizzare certi vuoti.


La grandiosità di "Fuoricampo" è nell'aver trovato un suono che oggi mancava, ricco di tastiere retrò e spensieratezza. Ed è curioso scoprire che i provini dei pezzi avevano tutt'altra anima musicale. Mi piace pensare che questo album sia un piccolo miracolo, un funambolo in equilibrio tra passato e presente. Come "Fine dell'estate", baustelliana ma meno malata, che vive di malinconia e parole a fuoco, come un agosto, quell'agosto che non riesci a dimenticare. E allora il disco finisce e ti trovi anche tu a pensare a biciclette Atala, a cornetti addentati in spiaggia e ai film Anni '80, come quelli di Carlo Verdone che vedi e rivedi e ogni volta ti fanno bene. Come questo disco.

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