Le scoperte musicali arrivano nei modi più disparati: dal consiglio di un amico, dai social, ma anche da una canzone ascoltata al volo in radio. A volte la scintilla scocca grazie ad una cover sconosciuta di un artista che amo, altre dalla colonna sonora di un telefilm o di una pubblicità. Nel caso dei Thegiornalisti è andata diversamente: tutto è nato grazie alla copertina di un loro disco. Si, proprio quello che non si dovrebbe mai fare per giudicare un libro o un album è stato ciò che mi ha incuriosito e mi ha spinto al primo ascolto. L'album in questione era "Thegiornalisti Vol.1" e la copertina era composta da una bic nera su sfondo bianco. Tutto qui, direte voi? Esatto, una semplice bic nera, nulla di eccezionale o sconvolgente, se non per il fatto che io sono innamorato di quella penna. E' lo strumento della mia passione, indispensabile per iniziare a concretizzare ogni idea che mi frulla in testa, nonché oggetto quotidiano del mio lavoro. Tranquilli, non mi sono montato la testa, intendevo il lavoro da designer con cui mi pago i biglietti dei concerti e non certo il giornalista, anche se sono nato il giorno prima della scomparsa di Lester Bangs. Dovrà pur significare qualcosa...
THEGIORNALISTI - TORINO 20.03.2015 di Vito Possidente
Venerdì scorso, alle Officine Corsare, la band romana tornava per la seconda volta a Torino dopo l'uscita di "Fuoricampo", uno dei migliori dischi del 2014 (lo avevamo recensito qui). A dire il vero la volta scorsa il concerto non fu baciato dalla fortuna: sorsero dei problemi tecnici, che si sommarono ad un'acustica non proprio eccelsa (questione però dovuta al locale che li ospitava). Si spera che questa volta la dea bendata sia più propizia.
Arriviamo con largo anticipo, ed ammazziamo il tempo seduti ai tavoli in cortile bevendo un amaro e scambiando chiacchiere su musica e futuro, mentre la band è ancora intenta a cenare. Quando entriamo nel "Cubo", Bea Zanin è già sul palco che abbraccia il suo violoncello e con delle basi pop sintetizzate molto godibili ci accompagna verso l'inizio del concerto. Poco dopo - non molto lontani dalla mezzanotte - ecco che Tommaso Paradiso, Marco Antonio Musella, Marco Primavera e Gabriele Blandamura salgono sul palco.
L'inizio è affidato a "Per lei" ed è un inizio tra il doveroso e lo scontato ("Per lei il sole splende anche a Torino"), a cui segue "Insonnia", ma ecco che subito arriva il primo stop. Tommaso Paradiso ci confessa di aver versato accidentalmente del vino sull'amplificatore, spirato dopo una breve fumata. "Va beh, i pezzi con la chitarra vedremo come farli", ma prontamente il loro fonico recupera miracolosamente un nuovo amplificatore e si prosegue. "Balla" è il terzo pezzo, o almeno lo sarebbe: improvvisamente saltano le spie e devono fermarsi a metà canzone: "Scusateci, solo a Torino ci succede. Chi c’era la scorsa volta ricorderà", ci confessa desolato Paradiso, mentre il fonico fa del suo meglio. Canzone ripetuta e concerto che, nonostante tutto, prosegue bene. Il pubblico è divertito da questi piccoli siparietti, gestiti con mestiere dal gruppo capitolino, che ci scherza su e sdrammatizza.
La sala è piena, e il pubblico partecipa carico e canterino (le mie orecchie in alcuni frangenti direbbero "Anche troppo"). La scaletta è dedicata quasi tutta all’ultimo lavoro, con poche piacevoli eccezioni come "E meno male", contenuta nel sopracitato "Vol. 1", a cui più tardi seguirà "Autostrade umane".
Uno dei loro pezzi più amati è "Fine dell’estate", che piacevolmente ci proietta verso atmosfere malinconiche dal sapore Anni '80, ma a metà cambia registro: sparisce il suono della chitarra, mi giro verso il centro del palco e noto che al frontman gli è saltata la quinta corda. Risatina imbarazzata da parte sua e divertita da parte nostra, ma la canzone raggiunge il traguardo. Imperterriti i nostri eroi continuano, correndo contro la fortuna avversa, ma il tempo di fare un altro pezzo ("Aspetto che") e salta l’aggancio della tracolla del basso: surreale. Anche loro rimangono increduli. Mentre ci si organizza per riparare alla meglio il basso, Paradiso imbraccia la chitarra - un’altra - e inizia una versione acustica e solitaria di "Corso Trieste", cover tratta dall’ultimo de I Cani, altra band romana, dando il tempo agli altri di sistemare il tutto senza lasciare il pubblico in attesa. Buona scelta.
Con il sorriso, ci avviciniamo verso il finale, e dopo "Mare Balotelli", decidono di saltare la pausa prima del bis, visto il tempo perso a ottemperare alle sfighe varie. Chiusura in grande con "Io non esisto" (forse il mio pezzo preferito) e finale orgiastico con "Promiscuità", primo singolo tratto da "Fuoricampo" e una delle canzoni che dall'estate scorsa ho ascoltato e amato di più. Tommaso scende dal palco, e cantando abbraccia e bacia tutti. Cerca il ragazzo venuto da Parigi apposta per loro (così dicono i suoi amici) per abbracciarlo e canta assieme a quelli che poco prima mi urlavano nei timpani. Poi si gira verso la mia amica Francesca (che per poco non sviene), la prende e ballano insieme abbracciati, per poi finire avvinghiato ad un’altra bella donzella che non vuole piu lasciarlo andare.
E dopo le ultime foto di rito e i saluti, è tempo di bilanci. Questa sera la sfiga ci ha visto benissimo, ma lo spettacolo non ne ha risentito e l'esibizione è stata molto godibile. Per il gruppo non era certo facile mantenersi calmi e lucidi, ma ha saputo gestire ogni imprevisto con tranquillità e bravura. E' risaputo che Torino sia una città magica, lo ha dimostrato ancora una volta.
Usciti dal cubo, rimaniamo un po' in giro nel cortile, a bere un altro amaro (che c’avrò da digerire poi?). Siamo lì a scambiarci le opinioni sul concerto appena finito, programmando i prossimi, quando il mio amico Mauro mi chiama: "Vieni a darmi una mano al tavolo da ping pong, che sfidiamo loro due". Ecco, i due in questione erano Tommaso Paradiso ed uno dei ragazzi delle Officine. Ci penso su un attimo e poi decido che dopo tutte le sfighe della serata non posso batterlo anche a ping-pong, così magicamente disimparo tutta l’arte dello sport piu popolare della Repubblica cinese e mestamente cadiamo sotto i colpi dei due con un secco 21-6. Ok, lo ammetto, la verità è che credo di aver preso in mano una racchetta da ping pong solo altre due volte in vita mia, e non sono scarso, di piu, però un ricordo del genere non avrei mai potuto perdermelo. Chissà se Lester Bangs ha mai giocato a ping pong...
Foto di Francesca Luccisano |
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