14 marzo 2017

I GRANDI ALBUM DEL 1997 - PART II



Quante hit immortali in quel 1997. Non entro nel merito della qualità, solo della canzoni che sono rimaste nell'immaginario collettivo. "I'll be missing you" di Puff Daddy e Faith Evans fu il singolo più venduto dell'anno, ma come dimenticare pezzi come "Around the World" dei Daft Punk (testo profondissimo, va detto), l'uragano rock di Anouk con la sua "Nobody's Wife" e l'allegra "Tubthumping" dei Chumbawamba, il ruffianissimo singolo di Elton John in ricordo di Lady Diana e i tormentoni esagerati di Max Pezzali e del suo "La Dura Legge del Gol". Era la golden age della dance, oltre a "Come into my Life" di Gala (che continua a piacermi la matti), come dimenticare "Bailando" dei Paradisio o "Stay" di Sash feat. La trec. E poi le parabole descritte da Backstreet Boys e Spice Girls, che ai tempi tutti consideravano di serie b e ora sono stati giustamente sdoganati. Nulla che secondo me meriti di entrare nei 20 dischi dell'anno, ma tutta roba che ricordo con affetto. Che cosa fa la nostalgia...

             I DISCHI CHE COMPIONO 20 ANNI - SECONDA PARTE di A. Vanzelli

E dopo la prima parte pubblicata pochi giorni fa, eccoci con gli altri dieci dischi di quello strepitoso anno. E parto da una scelta controversa, ci ho pensato a lungo se inserirlo o meno. Sto parlando di "Nimrod", il quinto album di studio dei Green Day. In quel periodo ero in fissa totale con Billie Joe e soci, che durava da quando mi ero perdutamente innamorato di "When i come around" (oltre che di "Basket Case", inutile dirlo), e ovviamente mi fiondai a comprarlo. Resta un passaggio di transizione (come il successivo e ancor più discusso "Waiting", anche se "Macy's Day Parade"...), come se nei Green Day stesse germogliando qualcosa di nuovo, che infatti poi esplose in "American Idiot". Lo so quindi che non è il loro lavoro migliore, ma "Nice Guys Finish Last" o "Redundant"sono regali di Natale, e poi c'è "Good Riddance (Time of your Life)" che basterebbe da sola a dare ad ogni disco i colori del capolav


Ogni volta che penso a "Eta Beta" dei Timoria sento una fitta al cuore. Quella del combo bresciano è una delle pagine più felici del rock tricolore, ma anche delle più amare vista la brusca rottura che porto alla fuoriuscita di Francesco Renga. Troppo forti i dissidi con Omar Pedrini, mai del tutto ricomposti. E come per "Nimrod", anche "Eta Beta" non è il loro disco di riferimento, del resto era difficile fare meglio di "Viaggio Senza Vento" e "2020 Speedball", vere pietre miliari del genere. Il clima di tensione in studio, però, portò si ad un lavoro meno organico, con caratteristiche più ibride (e sporcate di dub, hip hop e jazz in alcuni episodi), ma anche a diamanti purissimi, come la ballatona "Vola Piano" (dedicata all'amico giornalista Stefano Ronzani), la coinvolgente "Bella Bambola" o "Fioriscono". Senza l'esiliato frontman, i Timoria riuscirono a ricompattarsi e a rilasciare "1999" e "El Topo Grand Hotel", due album di altissima caratura, ma il rimpianto di sapere come sarebbe potuta andare con Renga - visto il successo avuto da gruppi con un decimo del loro talento - resta una domanda dolorosa e che ancora fa sanguinare la ferita di tanti fan.


Ci sono album di cui non vorrei mai dover parlare, sono talmente illuminati che ogni cosa tu dica rischi di barcollare tra l'esagerato e il banale. Cosa si può dire ad esempio di quel fottutissimo capolavoro che risponde al nome di "OK Computer"? La tormentata malinconia di Thom Yorke guarda al passato per dipingere le trame del rock con fantasie nuove, spostando l'asticella del genere molto più in alto. Ed O'Brien affermò "Tutti dicevano: 'Potrai vendere sei o sette milioni di copie, se farete uscire un "The Bends Pt. 2'", ma noi pensavamo 'Lotteremo contro quest'idea e faremo l'opposto.", così fanno le grandi band: si ribellarono, ed ebbero ragione loro. Grazie ad atmosfere che ballano impazzite, in un tourbillon che vaga dalla psichedelia all'alienazione, è come se i Radiohead per primi fossero riusciti a entrati in uno Stargate musicale, toccando il futuro. Andate e ascoltatelo, amen.


Nelle mie venti scelte c'è tanto rock, c'è metal e rap ma anche lampi di elettronica. Eppure in quell'annata, spiccano gioiellini pop come "...E dimmi che non vuoi morire" di Patty Pravo, che lasciò senza parole la platea di Sanremo. La felice penna di Vasco Rossi e Gaetano Curreri regalò alla divina Patty una ballata senza tempo. Però fu l'unico inedito di "Bye Bye Patty", una raccolta di brani live, e allora, se devo sceglierne uno, vado su "Leggera" di Mina. Non ho mai apprezzato la sua prolificità, quasi un disco all'anno e non sempre di buon livello. Questo invece è un lavoro esagerato, che dimostra la sua voglia continua di divertirsi e di stupire, talmente carico di meraviglia che poche righe sono riduttive. Si va da "Someday in my Life" con Mick Hucknall dei Simply Red (delizioso duetto che profuma di jazz e di club d'altri tempi), a singoli spacca radio come "Con Te Sarà Diverso" e "Johnny", che in un amen fa capire la distanza tra lei e tutte le altre. Ma non è solo questo... La sua grandezza sta nel non adagiarsi sugli allori, infatti qui osa, con due cover tanto inaspettate quanto strepitose: "Tre Volte Dentro Me" (ovvero "Dentro Marilyn" degli Afterhours) e "Suona Ancora" dei Casino Royale. Un album baciato dalla grazia di un Dio minore.


Il primo cd in assoluto che ho comprato è stato "Pop" degli U2. Qualcuno dirà "Potevi scegliere meglio", e lo capisco, è senza dubbio il loro disco più controverso, eppure continuo a pensare che contenga delle ottime cose. Bono e soci dovettero velocizzare produzione e chiusura del disco - il tour già organizzato era alle porte - e probabilmente con più tempo a disposizione la storia sarebbe stata diversa. Se infatti i Radiohead riuscirono a trovare la giusta alchimia (prendendosela comoda in studio), la band irlandese mancò il bersaglio, pubblicando un disco frammentario, come un book fatto di fotografie che rapiscono lo sguardo e altre completamente fuori fuoco. "Pop" mostra infatti un lato classico, con un sound U2 sino al midollo ("Staring at the Sun", "If God Will Send His Angels" o la minimale "Wake Up Dead Man"), mischiato a episodi di elettropoprock godibili ma plastificati. E badate bene, "Discoteque" o "Do You Feel Loved" continuo ad ascoltarle con immutato piacere, ma è come se fossero canzoni dei Depeche Mode. Gli U2 poi corressero il tiro, pubblicando il più tradizionale "All That You Can Leave Behind" (che reputo un signor album), ma "Pop" resta un tentativo, non riuscito del tutto ma apprezzabilissimo.


Ci sono momenti nella vita in cui tutto va al proprio posto, quasi per una incredibile congiunzione astrale. No, non stiamo parlando di Nek, ma dell'incredibile 1997 degli Afterhours. Mina, la più grande voce italiana di sempre, decide di pubblicare una tua cover; poi esce "Rosemary Plexiglas" degli Scisma che, prodotto da Manuel Agnelli, diventa in breve uno degli album di culto del nostro rock. E infine arriva "Hai paura del buio?" e già il nome dice tutto. Una sfilza di canzoni una più forte dell'altra - "Pelle", "Veleno", "1.9.9.6" -, pugni in faccia in serie che ti lasciano tramortito.
Pochi anni fa ne hanno fatto una riedizione (curiosamente in anticipo sul ventennale) e io ero lì, a godermi la presentazione milanese: "E' un disco che ha avuto una genesi molto ampia, con una lavorazione di un anno e mezzo. Nessuno voleva farci firmare un contratto e questo fu uno dei segreti di quel disco. Accumulavamo solo debiti con gli studi di registrazione, però come spesso accade nelle situazioni disperate, o ti impicchi oppure te ne fotti e dai il meglio di te. E' stata la prima volta che abbiamo sperimentato una totale libertà in quello che stavamo facendo." Evviva le situazioni disperate allora, se poi portano in dote meraviglie di questo genere.


"Angels and Daemons at Play" dei Motorpsycho è un disco che ho scoperto tardi, grazie ad un vecchio coinquilino che continuava a ascoltarlo in loop. Sulle prime rimasi spiazzato, alternava momenti di assoluta quiete a schizofrenia improvvisa. Poi, senza accorgermene, mi ritrovai nel suo universo parallelo, fatto di richiami seventies, di voci suadenti che ti accarezzano l'anima ("Sidway Spiral I")  e poi te la ribaltano (Walking on the water"), di ballate belle come un abbraccio ("Stalemate" o "Pills, powders and passionplays") e di distorsioni e voci provenienti da un pianeta a se stante ("Timothy's Monsters"). Qualcuno lo ha chiamato space rock, non lo so, non saprei definirlo. Se fosse un quadro avrebbe i colori di Kandinskij e le (de)forme di Picasso. Se invece fosse un animale, sarebbe una medusa impazzita, che una volta che ti si attacca alla pelle non riesci più a liberartene. E nemmeno lo vuoi.


Raramente in Italia il rock è stato declinato al femminile. Gianna Nannini e Loredana Bertè - ognuna a modo suo - hanno segnato il sentiero da seguire, di cui hanno fatto tesoro Irene Grandi e Paola Turci. Una delle scintille più luminose scoccò con Carmen Consoli con "Confusa e Felice". La canzone omonima fu portata in gara al Festival di Sanremo, una scelta coraggiosa quella di cercare di sfondare alla kermesse con un pezzo così grintoso, ma che pagò. Da lì in poi la cantantessa divenne una delle certezze del nostro panorama. Nel disco, brilla quel diamante purissimo che risponde al nome di "Uguale a Ieri", e poi i graffi di "Venere" e "Un Sorso in Più" a ballare un trascinante tango insieme alla morbida e accogliente delicatezza di "Diversi" e "Fidarmi delle tue Carezze".
Nel 1996 uscì il bellissimo "Due Parole" (altro disco imprescindibile), nel '97 "Confusa e Felice" e l'anno dopo "Mediamente Isterica", tre dischi del genere in tre anni... Serve aggiungere altro?


Io e Dino ci conoscemmo durante un Giovedì universitario. Venne da me e mi disse: "Sei la prima persona che conosco più alta di me!", e io scoppiai a ridere. Nacque una bella amicizia, ci accomunava la passione per il basket e quella per la musica. Impazziva per gli Stone Temple Pilots e per i Foo Fighters, fu lui infatti a contagiarmi. E per fortuna, visto che, se sono arrivati ad essere un punto di riferimento del rock mondiale, è proprio perché hanno sfornato musica sempre di primissimo livello. "The Colour and The Shape" è il loro secondo disco, c'è ancora qualche ingranaggio da sistemare (tutto venne ri-registrato perché il deus ex.machina Dave Grohl non era soddisfatto della prima versione), ma i marker tipici della loro carriera sono ben nitidi. Grohl, che a lungo aveva dovuto correre col freno a mano tirato a causa di Kurt Cobain, ora viaggia a briglie sciolte,  mischiando sapientemente hard rock e scariche tra il punk e il grunge, condendo tutto con il giusto tocco di melodia e di paraculissima estetica, quella dei loro video, che diventarono presenza fissa sui network videomusicali. Per chiudere, ve le butto lì: "My Hero", "Everlong" e "Walking after you", fate un po' voi.


La musica non è un mondo meritocratico, ma ogni tanto ci sono delle felici eccezioni. I Negrita, esplosi nel 1999 con "Reset", avevano infatti seminato benissimo. Prima il loro omonimo esordio nel '94 (che conteneva "Cambio" e "Lontani dal Mondo"), poi il mini "Paradisi per Illusi" e infine "XXX" che a febbraio ha festeggiato il ventennale. Se proprio devo dirla tutta, "XXX" è un disco anche più cazzuto del fortunato successore, 14 episodi tutti di altissima levatura che mescolano alla perfezione le tipicità del rock nostrano con atmosfere più americane (il lavoro fu registrato a New Orleans). Pau e soci sono ancora puri e scanzonati, lontani dall'impegno de "L'uomo Sogna di Volare" e "HELLdorado", ma con tanta faccia tosta e regalano bagliori accecanti come "...E Intanto il Tempo Passa" e "In un Mare di Noia", oltre a "Sex" e "Ho Imparato a Sognare", ormai entrate non solo nel cuore dei fan ma anche in quello di tanti appassionati di musica.


Menzione finale per "Album of the Year" dei Faith No More. Li ho sempre adorati, ma forse è l'anello debole della discografia pubblicata con il carismatico Mike Patton. Album dignitoso, intendiamoci, ma forse ci avevano abituato troppo bene coi capolavori precedenti. Così come non si poteva certo inserire "ReLoad" dei Metallica, da sempre lo zero assoluto dei dischi deludenti. Ed eccoci quindi alla fine, che ne dite? Abbiamo dimenticato qualcosa?

3 commenti:

Leonardo Salvaggio ha detto...

Un altro album di quell'anno a cui sono affezionato è Blood on the Dancefloor di MJ. Ok, non è un disco di inediti ma un misto di brani nuovi e remix, ma secondo me è molto bello.

Antonello Vanzelli ha detto...

Commento puntuale il tuo, avevo pensato di inserirlo ma poi ho optato per altre scelte. Condivido comunque la tua idea, è un disco valido e che ricordo con sincero piacere...

-Alma- ha detto...

Concordo su "Blood on the dancefloor". Nonostante non impazzisca per i remix è uno dei pochi casi in cui apprezzo davvero il lavoro svolto.

Bellissimi questi articoli sul 97, sto riascoltando tanta bella musica :-)