28 giugno 2013



I CORVI DEL SUD 


Ricordo di aver avuto più o meno 19 o 20 anni, quando la mia fidanzata dell'epoca mi passò una musicassetta. Questo ovviamente rende l'idea di quanti anni possano essere passati, o di quanto la tecnologia sia cresciuta in fretta. Mi porse quella cassetta duplicata dicendomi: "Ascolta questi, secondo me ti piaceranno."
Io non sono mai stato un ragazzo facile, a dire il vero nemmeno un bambino facile: figuriamoci poi un adolescente facile. Uno di quelli a cui la mamma da piccolo non doveva comprare i vestiti senza il suo assenso, uno di quelli a cui non piaceva andare a giocare a pallone, uno di quelli a cui a 15anni non garbava fare le cose degli altri, uno di quelli a cui non piace ascoltare un "fai questo, fai quello", soprattutto uno a cui non piace farsi dire che musica ascoltare.
Quel pomeriggio di fine agosto il cielo era troppo grigio per andare al mare e la temperatura troppo alta per stare comunque fuori casa dalle 14 alle 18. Così, steso sul letto, mi misi il walkman (ve li ricordate? Eh? Ve li ricordate?!?!?!?) nelle orecchie e pushai Play...
I primi dieci secondi mi fecero storcere la bocca, pensai "Ok, si è sbagliata!". Un incessante ritmo tribale (no, non la defunta rock band italiana...), percussioni modello Santana iniziarono a piantarsi nelle mie orecchie use e abuse invece dei taglienti riff di chitarra nella migliore tradizione settantiana. Ero infatti in trip (e lo sono ancora...) con "Tommy" degli Who e con tutta la discografia degli Zeppelin e lei, cosa mi faceva ascoltare... Delle percussioni?
Come sempre, però, avrei dovuto aspettare un attimo: lo so, la pazienza non è mai stata il mio forte.
Passarono infatti pochi secondi e sbocciò un amore che sarebbe andato avanti fino ad oggi in modo incondizionato.

                       BLACK CROWES - AMORICA di Giovanni Marinelli

Dopo l'intro percussivo, una chitarra inizio a farmi vibrare. Parte da sola in solitaria sulle percussioni sfumate in secondo piano, un semplice accordo e una sequenza di plettrate sulle corde stoppate... Cosi... Per dieci secondi, poi un feedback, una lancinante intro di 9/10 note, poi la batteria e la voce, roca, alta, southern. Quella voce proveniva direttamente dal 1973, dai sobborghi di Londra ma, in realtà, quei ragazzi arrivavano dal profondo sud degli Stati Uniti, da Atlanta, Georgia. E l'album Amorica non arrivava dai Seventies ma era del 1994.
Quello per i Black Crowes fu un colpo di fulmine, o un attacco di chitarra, decidete voi. Amorica, il primo da me ascoltato, era il loro terzo album, e resta il mio preferito ad oggi, probabilmente perchè si rimane legati per sempre al primo ricordo delle persone o delle cose amate.
Si snocciola per 11 brani di rock sostenuto e senza esclusioni di distorsioni, soli di chitarra e retrogusto vintage, trascinato da una voce che spicca per vibrazioni e versatilità. Quella voce, sebbene sottovalutata dalla critica, raggiunge note improbabili e sopra le proprie possibilità, eppure sempre in linea e in tono con quello che sotto sta strillando una chitarra o un hammond.
Si corre da "High Head Blues" (il singolo del disco) a "P.25 London", prese e sbattute in faccia senza darti il tempo di capire da dove arriva quello schiaffo di note, fino alla delicata "Ballad in Urgency", che anticipa un cembalino costante, uno dei tratti distintivi delle loro ballate.
Come dimenticare poi "Downton Money Waster", con quel suo sapore da "old west", con il piano saltellante, le chitarre dobro e lo slide senza batteria ma con il tamburello portante: ti catapulta in un immaginario paesaggio polveroso, con sole accecante e pistole fumanti. Era il 1994 eppure sembrava di essere stati risucchiati nel selvaggio west, come in un film di Sergio Leone.

E così, da quel momento in poi mi sono autoinflitto il rincorrere i Black Crowes in ogni loro performance in studio. Si perchè poi il sogno dei sogni rimaneva quello di vederli "Live". Ma sapere, in un paese in cui i Litfiba si erano sciolti, Ligabue passava da "Sopravvissuti e Sopravviventi" a "Miss Mondo '99", e Vasco addirittura a "Stupido Hotel", diciamo che il mercato sembrava non aver bisogno di quei sporchi capelloni barbuti dei Black Crowes. Infatti, le nostrane agenzie di organizzazione di eventi musicali se ne tenevano ben lontane.
Quando però il sogno stava per diventare realtà, la realtà stessa fece svanire il mio sogno.
Luglio 2001. Sono a Bologna ormai da anni, uno studente che si riduce sempre all'ultima sessione. E cosa accade all'ultimo esame dell'ultima sessione per evitare di partire militare? I Black Crowes sono in Italia!!!

Avevano appena dato alle stampe "Lions", il loro ultimo capolavoro: allora fu sottovalutato dai più ma è stato giustamente rivalutato col tempo.
Come se non bastasse, di spalla c'era un altro mostro (sacro, si intende): Neil Young!
Subito negozio di fiducia dei biglietti, corro, mi informo, chiedo, prezzo, orario, come ci arrivo a Brescia? Ok, fatto!
Unica nota stonata? Il giorno dopo il concerto avevo un esame e i sogni di gloria si sono infranti su un appello alle 8.30 di mattina, per un esame che dovevo assolutamente dare. Ho dovuto vendere il biglietto ad un amico che mi ha fatto la cronaca quasi in diretta.
Il tempo, si sa, mitiga e aiuta così saltiamo a pochi anni fa, era il 2010, e per caso vado a New York city a trovare un amico. Per caso apro un giornale mentre prendo il caffè al bar - si, unico vezzo da italiano negli States il caffè espresso la mattina! - e arrivo alle ultime pagine. E sempre casualmente scopro un mondo: i Black Crowes il giorno dopo a Long Island, una manciata di chilometri (scusate, miglia...) da Brooklyn. Inutile raccontrarvi il finale...
Concerto eclatante, clamoroso, indimenticabile!
Tanto indimenticabile che mentre vi scrivo abbasso gli occhi sulla scrivania e sorrido felice come un bimbo, di fronte al mio biglietto che recita: "4 Luglio 2013, Pistoia Blues ore 21: The Black Crowes!!!
Vi aspetto lì ragazzi!!!

Nessun commento: