"Mamma, esco a giocare!"
"Hai finito i compiti?" ma io ero già fuori dalla porta, maglietta da calcio, pantaloncini e scarpette ben allacciate. Ah, e l'immancabile Super Santos, il migliore amico della mia infanzia.
Ogni pomeriggio era una partita differente, difficile ci fossero sempre gli stessi giocatori, e ogni pomeriggio era il più bello del mondo perchè erano tutte finali dei Mondiali per noi.
Bastava poco, quattro zaini a fare le porte o, più comunemente, quattro massi. Venivano tirate delle linee d'area alla bell'e meglio e arrivava il momento più tragico: quello di fare le squadre.
Erano sempre i più forti a decidere, la tensione aumentava. Ci si guardava tutti in faccia, finire coi più deboli equivaleva ad un pomeriggio di cazzi e sofferenza.
I due capitani tiravano a sorte chi dovesse scegliere per primo e tutto d'un tratto calava il silenzio. Una sfera rotolante passava tra i nostri piedi, come nei film western: ansia.
"Prendo Raffaele." - "Ok, Giovanni con me." - "Italo." - "Angelo, vieni."
Era la classifica dei più bravi. Io venivo scelto quasi sempre a metà, me la cavavo bene coi piedi quindi non avevo problemi. Ma quando si era in troppi o in numero dispari, qualcuno doveva rimanere fuori, a guardare. Ricordo i visi dei ragazzini più scarsi chiudersi nella più infinita tristezza. Durante le chiamate, aspettavano invano che qualcuno li scegliesse, che non li sottoponesse a quell'umiliazione, ma nulla.
Avrei dato una mano per non essere mai al loro posto.